La missione che il prossimo 11 maggio decollerà per riparare il telescopio spaziale Hubble sarà l’ultima fase significativa del progetto Space Shuttle
Era il 14 aprile e milioni di persone stavano col fiato sospeso, e le dita incrociate, mentre osservavano la navetta Columbia atterrare sulla pista di White Sands dopo due giorni di missione nello spazio: era il 1981 e per la prima volta un veicolo spaziale usciva e rientrava integro (e pronto per una nuova missione) nell’atmosfera terrestre. Era, o sembrava l’inizio di una nuova era. Sono passati trent’anni e quest’era sembra ormai destinata a chiudersi: il prossimo volo dello shuttle sarà probabilmente l’ultimo.
La navetta Atlantis il prossimo 11 maggio decollerà per una missione di undici giorni per riparare un altro “grande vecchio” dell’esplorazione spaziale: il telescopio orbitante Hubble al quale dobbiamo una buona fetta delle conoscenze astronomiche attuali. La missione si presenta piuttosto pericolosa, tant’è che al momento del lancio un secondo veicolo spaziale attenderà nella sua postazione per decollare, se sarà necessario, come missione di soccorso.
Undici giorni in orbita, cinque passeggiate spaziali in programma, nessuna stazione orbitale nei paraggi come rifugio e la Terra quasi seicento chilometri sotto i piedi: questo è quello che dovrano affrontare gli astronauti dell’Atlantis. La missione è significativa per molti motivi. Da un lato sarà cruciale per prolungare la vita del più importante e longevo telescopio spaziale nella storia dell’essere umano, Hubble, in orbita da 19 anni e la cui strumentazione di bordo ha raccolto un numero enorme di immagini dello spazio profondo, contribuendo non poco alla nostra conoscenza del cosmo. Dall’altro lato il volo dell’Atlantis sarà il canto del cigno del progetto Space Shuttle che nel 1981 lanciò il primo tipo di navetta spaziale riutilizzabile, che avrebbe dovuto portare l’essere umano nell’era dei viaggi di esplorazione del cosmo.
A distanza di quasi trent’anni la realtà dei fatti è un po’ differente. In 125 voli l’essere umano non si è allontanato dalla Terra più di seicento chilometri, solo un piccola frazione degli oltre 800.000 chilometri percorsi dagli astronauti delle missioni Apollo nei quattro anni di esplorazioni lunari dal 1969 al 1973. Lo shuttle è costato la vita a 14 astronauti, con le catastrofi del Challenger – esploso in fase di lancio nel gennaio 1986 – e del Columbia – disintegrato in fase di rientro nel febbraio 2003 -. I successi del progetto Space Shuttle sembrano modesti se comparati con quelli di programmi precedenti come Mercury, Gemini e Apollo.
Forse questo è il motivo per cui il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha dimostrato un atteggiamento ambivalente nei confronti della NASA. Se da un lato ha confermato il finanziamento di 18,7 miliardi di dollari, molto vicino a quello stanziato da Geroge W. Bush, il presidente in carica fino all’anno scorso, dall’altro lato non ha ancora designato un nuovo amministratore per l’agenzia, mettendo in forse lo sviluppo della nuova generazione di navicelle spaziali Orion e dei razzi Ares, che intendono riportare l’uomo sulla Luna entro il 2020.
L’amministratore uscente, Michael Griffin, che ha lasciato il suo posto all’insediamento di Obama, ha definito il programma Shuttle e la costruzione della base spaziale come “intrinsecamente compromessi” e non proporzionati alla difficoltà, ai rischi o alla spesa che far volare degli uomini nello spazio comporta.