IL CORRIERE DELLA SERRA – Parte oggi Il Corriere della serra, lo speciale di OggiScienza su COP15, il summit sui cambiamenti climatici che si terrà a Copenhagen dal 7 al 18 dicembre. Un appuntamento sulla salute del pianeta assolutamente da non mancare
Mancano ormai solo cinque giorni all’apertura ufficiale di COP15, un evento considerato da molti la più importante conferenza dal secondo dopoguerra a oggi. Qualunque sia la vostra opinione sulla responsabilità umane a proposito del riscaldamento globale, dicembre 2009, l’appuntamento dei paesi delle Nazioni Unite per definire un accordo che possa fermare i cambiamenti climatici, sarà una data che passerà storia. Le sue origini risalgono al 1992, quando a Rio De Janero si è svolta la prima delle conferenza dei paesi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il trattato internazionale stilato durante il Summit della Terra, come oggi viene ricordata la Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite. Copehnagen sarà la quindicesima edizione dopo Rio. Copehnagen è anche il passo dopo Kyoto, probabilmente quello decisivo per intervenire sulla salute del nostro pianeta.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di metter a fuoco alcuni dei punti cruciali che verranno affrontati durante COP 15.
I numeri
Sono in molti a ritenere che bisogna darsi da fare per bloccare la crescita rapida di emissioni di gas serra in atmosfera. Lo affermano ad esempio gli scienziati del International Panel on Climate Change (IPCC). I risultati delle loro ricerche mostrano infatti un aumento della temperatura del pianeta negli ultimi cento anni di circa 0,7 C. Secondo gli studiosi circa il 90% di questo riscaldamento è da attribuire ad attività umane. Sotto accusa gas serra ma anche deforestazione, trasporto, modelli di agricultura e di industria fino a qui adottati.
Gli scienziati ritengono che la temperatura del pianeta continuerà a salire. Per mantenere l’aumento al di sotto 2 C sarà necessario tagliare le emissioni di gas serra del 25%-40% rispetto a quelle emesse nel 1990, per arrivare gradualmente a una riduzione del 80%-95% prima del 2050. Ma “la fisicità” di questi numeri è strettamente connessa al nostro modo di vivere, di produrre e consumare energia. Produrre meno anidride carbonica significa cambiare stile di vita e parte dei meccanismi di produzione che caratterizzano l’attuale modello economico. In altre parole, i cambiamenti richiesti sono grandi e, fino a oggi, le proposte presenti nelle agende dei governi sono ben al di sotto degli obiettivi definiti dagli scienziati.
Problema globale, bisogni locali
I paesi industrializzati, ai primi posti Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, sono i maggiori responsabili dell’eccessiva emissione di anidride carbonica in atmosfera. Sono quelli che ne hanno emessa di più fino adesso e che continuano ad avere la maggior percentuale di emissione a persona. Inoltre, hanno la tecnologia e le risorse che protrebbero contribuire a trovare una soluzione al problema. Per questi motivi sono anche quelli che hanno una responsabilità nell’impegno per una riduzione delle emissioni.
Dall’altro lato, ci sono i paesi emergenti e in via di sviluppo. Cina e India sono ormai grandi produttori di gas serra, ma gran parte della loro popolazione continua a vivere in uno stato di profonda povertà. Se si stringe l’obiettivo sul singolo abitante troviamo che l’impronta ecologica a persona per i cittadini di questi paesi è davvero molto piccola. Basti pensare che 400 milioni di Indiani vivono senza elettricità. Così Cina e India rivendicano il loro diritto a inquinare, condizione ritenuta necessaria per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Nella geopolitica del clima ci sono anche paesi più poveri come Haiti, Sudan, Bangladesh, che fino a oggi non hanno sporcato l’atmosfera, ma che sono i più vulnerabili all’impatto. Sono soprattutto loro a subire i danni delle inondazioni e della siccità.
Bolletta in verde
L’economia a bassa produzione di anidride carbonica può essere un grande investimento per il futuro ma richiede un forzo notevole sui tempi brevi. Le nazioni più ricche oggi sono chiamate a ripagare i danni causati al clima della Terra. Dovranno investire nella costruzione di infrastrutture a energia pulita da sostituire ad impianti alimentati da carbone e gas, i maggiori responsabili delle emissioni. Ai paesi ad economia emergente, come l’India, è richiesto di puntare lo sviluppo sulle energie pulite. Ma il conto per un mondo verde è salato. L’Unione Europea ha dichiarato che per pagare la bolletta del cambiamento climatico è necessario un investimento di 100 miliardi di dollari l’anno. Altre stime parlano di cifre quattro volte maggiori. La definizione di un organo istituzionale per gestire questi investimenti è un’altra delle questioni calde che verranno discusse nei prossimi giorni in Danimarca.
The day after
In una complessità di interessi diversi, in soli dieci giorni, COP15 dovrà quindi rispondere a quattro questioni cruciali. Quanto investiranno i paesi industrailizzati per ridurre le loro emissioni? Quale limiti di produzione dovranno rispettare i paesi in via di sviluppo? Chi fornirà la tecnologia e gli investimenti necessari per la riduzione delle emissioni? Chi gestirà questo denaro?
Gli scenari possibili per il dopo Copehnagen vanno da un niente di fatto a una riformulazione, più verde, del protocollo di Kyoto, alla formulazione di nuovi accordi.
Nei prossimi giorni fino al 18 dicembre, ultimo giorno di COP15, Oggiscienza seguirà da vicino gli eventi, approfondirà alcuni dei temi qui affronati, ne presenterà di nuovi. Con lo sguardo puntato al futuro e, nello stesso tempo, i piedi ben saldi a terra. Tenetevi forte dunque: il viaggio nei dieci giorni che potrebbero cambiare il mondo sta per iniziare.