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Microbi antimine

Sono ancora più di 70 i paesi con terreni contaminati da mine. A ripulirli ci pensano oggi corpi specializzati di intervento, ma grazie ai progressi della biologia sintetica domani potremmo arruolare allo scopo anche i batteri

CRONACA – Niente più personale specializzato con metal detector e cani addestrati: in futuro, a scovare le mine potrebbero pensarci i batteri, previa opportuna “rielaborazione” genetica. Al Centro di ingegneria biomedica dell’Università di Edinburgo, il team del bioingegnere Alistair Elfick sta mettendo a punto un microrganismo – il “solito” Escherichia coli, il batterio più amato dai ricercatori di tutto il mondo – perché sia in grado di illuminarsi quando una proteina presente nella sua membrana viene in contatto con TNT, il tritolo, sostanza chimica spesso utilizzata negli esplosivi .

“Batteri così modificati potrebbero essere dispersi su aree potenzialmente contaminate da mine e in poche ore si saprebbe se gli esplosivi ci sono davvero oppure no”, ha dichiarato Elfick in una recente intervista rilasciata a SciDev.Net, che si è occupato della questione in occasione della pubblicazione del Landmine Monitor Report 2009.

Secondo l’annuale rapporto dell’International Campaign to Ban Landmines, negli ultimi 10 anni la situazione è migliorata, ma non è ancora il momento di cantare vittoria. Il numero di governi che fanno uso di mine antiuomo è notevolmente diminuito (da 15 a 2: Myanmar e Russia) e così pure quello di gruppi armati non governativi e di produttori. Molti territori sono stati completamente ripuliti da mine e residui bellici e anche il numero di morti o infortuni dovuti a questi esplosivi sembra in diminuzione.

Tuttavia, negli ultimi 10 anni Landmine Monitor ha registrato oltre 73 000 incidenti causati da mine o residui bellici e ad agosto 2009 più di 70 stati risultavano ancora contaminati. Ed è a questo proposito che potrebbero tornare utili i microbi fluorescenti di Elfick. Prima di passare a prove sul campo, tuttavia, ci vorrà ancora del tempo, anche per questioni regolatorie, visto che si tratterebbe di liberare all’aperto organismi geneticamente modificati.

Quello che è certo è che c’è grande fermento nel nuovo settore della biologia sintetica, per cercare di trasformare i microrganismi in piccoli tuttofare al nostro servizio, capaci di mangiarsi sostanze inquinanti o di produrre biocarburanti. Due pionieri come Craig Venter e George Church hanno già fondato compagnie biotecnologiche ad hoc.

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance