LA VOCE DEL MASTER

L’insostenibile prelibatezza del tonno

Il mare per Greenpeace è sempre un luogo speciale da difendere. Dopo la battaglia contro la caccia giapponese alle balene fatta con pretestuosi scopi scientifici, la denuncia della pesca illegale in Mediterraneo con le spadare, Greenpeace si mette dalla parte dei tonni e soprattutto dei consumatori italiani. E lo fa con il rapporto “Tonno in trappola”, un’indagine sui principali marchi che nel nostro paese vendono tonno in scatola

LA VOCE DEL MASTERGreenpeace ha inviato un questionario alle più importanti aziende che vendono tonno in scatola. Sulla base delle risposte (e delle non risposte) è stata stilata la classifica “Rompiscatole” (www.greenpeace.it/tonnointrappola). Ma siamo produttori responsabili e ci preoccupiamo di pescare in modo sostenibile?

L’Italia, che si trova nel bel mezzo del Mediterraneo, è il secondo produttore di tonno in Europa. Nelle nostre acque vive la specie di tonno più pregiata, il tonno rosso (gestito con quote massime annue di prelievo) ricercato come non mai, ora che è esplosa la sushi-mania. “In Italia consumiamo più di 140mila tonnellate di tonno in scatola all’anno,” spiega Giorgia Monti responsabile della campagna Mare di Greenpeace,”ma non esiste sul mercato un marchio realmente sostenibile”.

Lo scudetto della sostenibilità, ma al momento sembra più un premio di consolazione, va a Coop, As do mar e Mare blu. Queste aziende hanno adottato una politica sostenibile, ma molti degli impegni presi devono in gran parte venire realizzati. Fanalino di coda della classifica due marchi prestigiosi come Consorcio e Mare Aperto che non hanno risposto al questionario. La differenza l’hanno fatta non la qualità o la bontà del prodotto che finisce nella scatoletta ma alcuni parametri di sostenibilità ambientale. Perché oggi più che mai qualità significa anche attenzione all’ambiente e alle fasi di produzione di quello che finisce in tavola. Ecco i punti più  significativi per la valutazione; la politica d’acquisto del prodotto, il metodo di pesca, l’etichettatura e il contributo per la creazione di riserve marine.

Dall’inchiesta emerge il totale disinteresse verso l’istituzione di aree marine protette, uno strumento importante per la protezione degli oceani e la poca attenzione nei confronti del consumatore, a cui vengono fornite poche informazioni e confuse. In alcuni casi sono ancora utilizzati  metodi di pesca impattanti come i Fad (sistemi di aggregazione per pesci) che sono responsabili della cattura di specie protette come tartarughe e  squali.

Quello dell’etichetta è un problema di molti marchi; il consumatore spesso non sa che tonno mangia, né dove è stato pescato né come. Riomare dichiara la qualità del suo tonno pinne gialle da sempre, meglio fa As do mar che commercializza il tonnetto striato, una  specie considerata in buono stato di salute e pescata con metodi non impattanti come la lenza e l’amo.

“Molti dati indicano che diverse popolazioni di tonni sono in diminuzione, in alcuni casi la situazione si presenta particolarmente critica, tanto da aver fatto inserire alcune specie nella Lista rossa delle specie in pericolo dell’IUCN,” dice Carlotta Mazzoldi, biologa dell’Università di Padova. “Il problema è anche un altro,” afferma Marco Costantini del programma mare del WWF, “i tonni migrano più da morti che da vivi. Il 90% del tonno pescato in Mediterraneo viene esportato sul mercato giapponese, mentre tutto il tonno che noi italiani consumiamo in scatoletta e’ quello pinne gialle, proveniente dall’Oman, dall’Oceano Indiano, forse anche dal Pacifico”.

Per il consumatore non è semplice fare la scelta giusta ma non bisogna dimenticare cosa successe qualche anno fa con la questione delfini, che spesso finivano vittima delle reti dei pescatori di tonni. In molti chiesero a gran voce l’uso di metodi di pesca “salva-delfini”. E  la certificazione dolphin safe ben evidente sulle scatolette. Oggi, secondo Greenpeace,  una buona parte del tonno venduto nel nostro paese non ha un impatto sulle popolazioni di delfini.

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