Non solo tonno: meno simpatico dell’altro abitante del mare, anche lo squalo corre seri pericoli ed è stato materia di discussione durante la conferenza CITES tenutasi a DOHA lo scorso marzo
LA VOCE DEL MASTER – A chi vi dice che non si tuffa in mare per paura degli squali potreste rispondere con la forza dell’ironia perché ogni anno fanno più vittime i distributori automatici di merendine, con i numeri della biologia poiché lo squalo più grande, lo squalo balena (18 metri di lunghezza) si nutre di minuscoli organismi che filtra dall’acqua e non ha mai fatto del male a nessuno, o con il rigore dei numeri: l’Italia è stato fino a pochi anni fa il massimo importatore di squali con un totale di 14.400 tonnellate all’anno. Quello che nelle pescherie è venduto come palombo (can bianco in Friuli Venezia Giulia) è uno squalo vero e proprio.
In tutto il mondo vengono pescati ogni anno 35 milioni di squali. La tecnica di pesca più frequente è il finning, dove i pescatori tagliano le pinne dello squalo per poi gettare in mare l’animale ancora vivo. Le pinne sono l’ingrediente principe nella preparazione della“zuppa di pescecane”, una specialità asiatica, che subirà un incremento di richieste con lo sviluppo dell’economia cinese e dei ristoranti etnici in Occidente. Questo business rappresenta una delle maggiori minacce alla conservazione dello squalo martello e del longimano, mentre lo smeriglio e lo spinarolo sono pescati soprattutto per la loro carne.
A Doha durante la conferenza dello scorzo marzo della Cites, la convenzione che regola il commercio internazionale di animali e piante in pericolo di estinzione, Europa e Stati Uniti hanno proposto di inserire le quattro specie di squali nell’Annesso II della convenzione. L’articolo prevede che il commercio di una specie venga accompagnato da una documentazione che certifichi che la vendita non sia dannosa per la salvaguardia della specie stessa. In altre parole Europa e Stati Uniti chiedevano di non considerare più gli squali come specie commerciali, bensì animali protetti a tutti gli effetti. Un po’ come è stato fatto in passato per gli elefanti che venivano cacciati per l’avorio. I paesi asiatici si sono opposti a questa proposta e sul sito www.cites.org si può leggere la decisione della commissione: le quattro proposte relative agli squali sono state respinte e le specie in oggetto possono continuare a essere vendute senza richiedere l’autorizzazione.
“Il mancato accordo sulla protezione di specie quali gli squali, fondamentali per la salvaguardia dell’equilibrio dell’ecosistema marino, è una sconfitta, che non tiene in considerazione gli allarmi lanciati dagli esperti scientifici” dice Serena Maso, coordinatrice per l’Italia di Shark Alliance, la più importante organizzazione europea per la conservazione di questi animali. “Promuoveremo l’adozione di limiti di pesca basati solo su dati scientifici, in quanto aspetti chiave per l’adozione di adeguati programmi di conservazione delle specie”.
Un esperto di squali è Francesco Ferretti, ricercatore alla Dalhousie University in Canada, che nel suo studio “Loss of large predatory sharks from the mediterranean sea” va dritto al cuore del problema: negli ultimi duecento anni gli squali nel nostro mare si sono ridotti del 97 per cento. Tradotto significa che le 47 specie che popolano il Mediterraneo rischiano di diventare un ricordo da cartolina delle vacanze. La diminuzione degli squali potrebbe avere conseguenze drammatiche per l’equilibrio dell’ambiente marino. Ma, soprattutto, rischiamo di perdere per sempre la quintessenza di quello che il mare ancora rappresenta: l’unico luogo dove l’incontro con predatori liberi è ancora possibile.