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Brutto clima per i climatologi

Dalle stelle alle stalle: in pochi anni la popolarità dei climatologi è colata a picco. Eoggi negli Stati Uniti c’è chi spinge per l’insegnamento a scuola di una “visione alternativa” sul riscaldamento globale. Che cosa è successo dal 2007 (anno del Nobel all’Ipcc e ad Al Gore) a oggi?

Sembra passato un secolo da quando, nel 2007, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici, è stato insignito del Premio Nobel per la Pace per il suo impegno contro il surriscaldamento terrestre: per quanto potesse sembrare strano definire pacieri internazionali un gruppo di scienziati, il riconoscimento ebbe il grande merito di conferire ai climatologi grande visibilità e un ruolo non più solo tecnico nel percorso che porta alla riduzione delle emissioni di gas serra. Da quel momento però la “popolarità” degli scienziati del clima pian piano è andata scemando e alla fine del 2009 è schiantata di colpo: scandali personali, attacchi di hacker e della stampa e fino addirittura alla recente proposta di insegnare nelle scuole americane teorie alternative a quella che attribuisce il cambiamento climatico all’attività umana. Ma andiamo con ordine.

Poco prima della Conferenza di Copenhagen – non a caso, secondo qualche malizioso – la stampa conservatrice britannica ha cominciato ad attaccare frontalmente l’Ipcc. Inizialmente per via del contenuto non proprio ortodosso di un carteggio tra climatologi diffuso online da un gruppo di hacker che si è introdotto nei server dell’Università del West Anglia. Dalle mail traspariva un tono molto acceso, una forte aggressività nei confronti delle ricerche degli “oppositori” e una politica non proprio trasparente in tema di divulgazione dei dati. Nature ha liquidato il caso come ridicolo e ben due pronunciamenti del comitato per la Scienza e la Tecnologia della Camera dei Comuni britannica (che il 22 gennaio aveva aperto un’inchiesta sul caso) hanno scagionato completamente gli scienziati dalle accuse di comportamento fraudolento. Quando ormai era chiaro che la Conferenza di Copenhagen sarebbe stata ricordata solo come una costosissima perdita di tempo, ecco un’altra tegola che arriva sulla testa dei climatologi: il 20 dicembre 2009 il quotidiano Sunday Telegraph accusava Rajendra Pachauri, il carismatico Presidente dell’Ipcc, di approfittare della sua posizione per ottenere vantaggi per sé e per il suo istituto Teri. Come se non bastasse, meno di un mese dopo il Sunday Times pubblicava un articolo per sbugiardare nientemeno che l’ultimo rapporto Ipcc sul clima, quello che può essere considerata la Bibbia del clima: a pag 493 lo studio dice che i ghiacciai dell’Himalaya si scioglieranno nel 2035, invece che nel 2050. La data sbagliata sarebbe il frutto di un copia-incolla da un rapporto Wwf del 2005, cifra a sua volta copiata da un articolo pubblicato dal New Scientist nel 1999. L’Ipcc alla fine (non subito) ha riconosciuto di aver sbagliato, sostenendo che l’errore non compare nella nota di sintesi destinata ai decisori politici. Insomma, tutt’altro che una bella figura che, secondo il Sunday Times, sarebbe da attribuire alla volontà di Pachauri di ottenere i fondi della Carnegie corporation di New York e dall’UE, nell’ambito del progetto Highnoon. Tutte accuse che gli scienziati hanno però rispedito al mittente.

Secondo l’Economist l’atteggiamento mostrato negli ultimi mesi dai climatologi sarebbe una delle cause degli scarsi risultati ottenuti a Copenhagen: certo, la crisi economica, un inverno molto rigido e un Obama eccessivamente distratto dalla riforma sanitaria non hanno aiutato, ma alla base dei fallimenti diplomatici in tema di taglio delle emissioni ci sarebbe l’incapacità degli uomini di scienza di giocare sul terreno della politica, in cui le incertezze si pagano care. Per esempio, per quanto fior di ricerche dimostrino che nei prossimi anni la temperatura terrestre aumenterà, presentare una forbice oscillante tra 1,1° e 6,4° non fa che corroborare coloro che parlano di imprecisione dei dati e, quindi, poca chiarezza sulla natura degli interventi da intraprendere. Insomma, secondo l’Economist la politica logora chi non la sa fare, cioè i climatologi.

Ovviamente tutto ciò non giova al clima e gli effetti si possono già misurare a livello pubblico. Secondo un sondaggio riportato su Scientific American da Jeffrey D. Sachs, Direttore dell’Earth Institute della Columbia University, sempre meno americani sarebbero convinti che il riscaldamento terrestre sia dovuto all’attività umana: se nel 2008 la percentuale si attestava al 47%, oggi la cifra è crollata al 36%. Per Sachs i cittadini americani a causa della disoccupazione sarebbero meno disposti ad accettare cattive notizie sul proprio tenore di vita. E soprattutto non avrebbero ben capito quali siano i rimedi per la febbre del Pianeta suggeriti dalla scienza del clima.

A complicare la situazione si aggiunge la battaglia condotta a 360° dai “negazionisti” del clima, cioè coloro che sostengono che l’aumento della temperatura terrestre non sarebbe dovuto all’uomo ma a cause naturali. La nuova strategia è quella di puntare sulla scuola: New Scientist ci racconta che ben tre Stati americani – Louisiana, Texas e South Dakota- hanno approvato regolamenti che spingono le scuole ad adottare un “approccio bilanciato” nell’insegnamento del cambiamento climatico, visto che la scienza in materia è “incerta” e la problematica è resa complicata da “punti di vista politici e filosofici”. Anche il Kentucky si starebbe muovendo in questa direzione. Don Kopp, promotore dell’iniziativa nel South Dakota, ha dichiarato di non voler mandare in bancarotta gli Stati Uniti prima di essere certo delle cause del surriscaldamento planetario. Per quanto nessuno dei regolamenti faccia riferimento alla teoria dell’evoluzione, è quasi automatico pensare a quanto fatto dai creazionisti in passato per ostacolare l’insegnamento delle teorie di Darwin. I paralleli tra clima ed evoluzione sono già più che espliciti nelle stesse parole dei promotori di queste iniziative: la Camera di Commercio degli Stati Uniti, feroce oppositrice di ogni politica di taglio delle emissioni di gas serra, per pubblicizzare un’audizione pubblica sull’argomento ha usato l’espressione “il processo Scopes del 21esimo secolo”, con un chiaro riferimento al dibattimento sull’insegnamento delle teorie dell’evoluzione che si tenne nel 1925 in Tennessee. E se in quel caso la Costituzione americana era riuscita ad arginare il creazionismo bollandolo come argomento religioso (e quindi non inseribile nei programmi scolastici), le cose potrebbero non essere così semplici nel caso del clima: secondo Steve Newton del National Center for Science Education di Oakland (California), infatti la libertà accademica permette di insegnare qualsiasi teoria scientifica, anche la più bislacca, senza alcun tipo di limitazione. Insomma, il clima è sempre più bollente.

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