Due ritrovamenti fossili avvenuti in luoghi impensabili: un dinosauro (forse) riposa indisturbato nel marmo della balaustra di una chiesa e una nuova specie cugina del coccodrillo, imprigionata in una lastra destinata a diventare pavimentazione, viene dimenticata in un museo fino all’arrivo di due giovani scienziati italiani …
LA VOCE DEL MASTER – Aguzzate la vista perché, intorno a voi, potrebbero nascondersi antichi tesori! È quello che hanno fatto un paleontologo dell’Università di Milano, Andrea Tintori, e una coppia di scienziati bolognesi, Andrea Cau e Federico Fanti, diventando protagonisti di due incredibili ritrovamenti fossili.
Già lo scorso autunno, Tintori aveva scovato ciò che sembra essere a tutti gli effetti un teschio di dinosauro imprigionato in una lastra di pietra nella Cattedrale di Sant’Ambrogio a Vigevano, vicino Milano. Se quel giorno non fosse passato di lì un esperto, il fossile avrebbe probabilmente continuato a mimetizzarsi tra i fedeli per chissà quanti altri anni ancora. Ciò che si osserva è la sezione della testa di un animale che ricorda un coccodrillo contenuta in una roccia calcarea dalle sfumature rosate, il Broccatello d’Arzo, che va a costituire la balaustra del luogo di culto vigevanese. Purtroppo, non è possibile dire molto sulla sua natura, nemmeno se si tratta di un dinosauro carnivoro od erbivoro. Il ritrovamento potrà essere approfondito in seguito all’estrazione del blocco di roccia, andando così a scrivere «una nuova pagina della storia della nostra penisola», affermava Tintori al momento della scoperta. Ad oggi, tuttavia, questa pagina rimane ancora bianca poiché nessun passo avanti purtroppo è stato compiuto, se non una diversa interpretazione del fossile da parte di alcuni scienziati che ritengono si tratti di una grossa ammonite, piuttosto che di un rettile preistorico. «La scossa che speravo non c’è stata», ci ha recentemente confidato Tintori.
In attesa di ricevere presto notizie sugli sviluppi del caso, raccontiamo dell’altro rocambolesco ritrovamento, più recente: una nuova specie imparentata all’antico cugino del coccodrillo è stata scoperta grazie ai fossili contenuti in un blocco di calcare destinato a diventare pavimentazione. La storia di questo reperto ha in realtà inizio a metà degli anni ’50 del secolo scorso, quando alcuni operai che lavoravano in una cava di calcare nel veronese estrassero il blocco di “ammonitico giallo” che custodiva il tesoro. Durante l’operazione di taglio, il proprietario dell’azienda incaricata notò le ossa imprigionate all’interno e decise, coscienziosamente, di mettere le lastre di marmo da parte affinché gli scienziati potessero esaminarle. Dall’analisi emerse che si trattava di fossili di un antico coccodrillo e, senza fornire ulteriori particolari, il reperto fu spartito tra due musei e lì presto dimenticato. Finché, alla fine del 2008, due giovani scienziati italiani, Andrea Cau e Federico Fanti, decisero di riesaminare le lastre custodite al museo geologico dell’Università di Bologna e allora si scoprì che i resti appartenevano ad una specie di rettile fino ad allora sconosciuta, antica di 165 milioni di anni e che ora ha un nome: Neptunidraco ammoniticus. Ma c’è di più: il nuovo trovato si è rivelato il più antico rappresentante di cui finora si ha traccia della famiglia dei Metriorhynchidae, coccodrilli marini preistorici che scorazzavano negli oceani più di cento milioni di anni fa. Il blog di Cau racconta di questa incredibile scoperta, come nelle pagine di un diario, mentre il collega Fanti ha condiviso con noi le sue emozioni: «Da un lato il piacere di scoprire un animale nuovo alla scienza, dall’altro soprattutto esserci arrivati lavorando con due metodologie completamente diverse. Io sono più versato per la geologia, Andrea invece ha ottime conoscenze di anatomia. Inoltre, siamo stati soddisfatti di capire che per anni il reperto è rimasto sotto gli occhi di molti, scienziati e non, inosservato».
Il fatto che rocce sedimentarie, come il broccatello e l’ammonitico, formatesi con la deposizione e l’accumulo di resti di organismi viventi, vengano largamente utilizzate come rocce ornamentali ci fa ben sperare in altre simili scoperte di preziosi fossili. «Molti ritrovamenti in Italia sono collegati a cave», continua Fanti, «il potenziale è davvero enorme, ma molte volte i fossili costituiscono un problema per i cavatori, più che un vantaggio. Al contrario, reperti presenti già all’interno di musei o edifici possono, e dovrebbero, essere notati e studiati. Ci siamo chiesti molte volte quanti altri fossili come quello di Bologna siano solo in attesa di essere riscoperti».