Dallo studio di un’antica siccità, emergono nuovi indizi sui rischi del riscaldamento globale
AMBIENTE – Quanto possono essere gravi le conseguenze di un cambiamento climatico? I climatologi hanno elaborato previsioni più o meno inquietanti, a seconda di quanto aumenteranno le temperature medie globali. Parliamo di una variazione di pochi gradi, sufficienti però a innescare catastrofi naturali e potenzialmente a cambiare il volto del pianeta. Ad alimentare le inquietudini contribuiscono ora i risultati di una ricerca pubblicata su Science. Dallo studio di un’antica e disastrosa siccità, infatti, emergono nuovi indizi, e nuovi interrogativi, su cosa potremmo aspettarci dal riscaldamento globale.
Un team internazionale di scienziati guidati da Curt Stager del Paul Smith College di New York ha raccolto decine di carote dai sedimenti del lago Tanganica e di altre località in Africa. Le analisi hanno permesso di ricostruire, tra i 17.000 e i 16.000 anni fa, quella che probabilmente è la più grave ed estesa siccità che la Terra abbia sperimentato negli ultimi 50.000 anni.
In Africa, il lago Vittoria, attualmente il più grande lago tropicale del mondo, si prosciugò, così come il lago Tana in Etiopia e il lago di Van in Turchia. Il Nilo, il Congo e altri grandi fiumi si ridussero a rigagnoli, i monsoni estivi asiatici si indebolirono e dalla Cina al Mediterraneo le piogge diminuirono drasticamente, o sparirono del tutto. Per l’umanità del Paleolitico fu certamente una dura prova, forse la più tremenda della sua storia.
Cosa provocò questa catastrofe planetaria? Sebbene manchino prove definitive a riguardo, gli studiosi suggeriscono un collegamento a Heinrich Event 1 (o “H1”), un aumento massiccio di iceberg e acqua di fusione nel Nord Atlantico alla fine dell’era glaciale. Oltre a provocare un raffreddamento regionale, il fenomeno stravolse anche il ciclo delle piogge in un’immensa fascia tropicale estesa dall’Africa al Sud-Est asiatico.
Studi precedenti avevano ipotizzato che la causa principale della siccità fosse lo spostamento verso sud della zona di convergenza intertropicale, una cintura di bassa pressione che circonda la Terra a livello dell’equatore. Formata dall’aria calda e umida degli alisei, la cintura è il principale motore che alimenta le piogge tropicali. Gli autori della ricerca, tuttavia, non hanno trovato prove di un suo spostamento a sud, dal momento che la siccità colpì non solo l’Africa equatoriale ma anche quella sud-orientale. Ritengono più verosimile, invece, un suo drastico indebolimento, probabilmente dovuto al raffreddamento della superficie degli oceani Atlantico e Indiano.
Che lezione possiamo trarne, ora che ci troviamo a fronteggiare un nuovo riscaldamento globale? Gli autori sottolineano che la quantità di ghiaccio che oggi potrebbe riversarsi nell’Atlantico è molto inferiore a quella che causò la siccità. Ma faremmo bene a stare in guardia: anche su scala ridotta, una nuova siccità in queste aree, le più densamente abitate del pianeta, avrebbe in ogni caso conseguenze disastrose.
[Nella foto: il lago Vittoria visto dal satellite, oggi].