AMBIENTE – L’aumento della temperatura marina ha determinato importanti cambiamenti nell’abbondanza di specie ittiche di importanza commerciale dell’Oceano Atlantico settentrionale. È quanto emerge da uno studio pubblicato recentemente dal professor Simpson dell’Università di Bristol e collaboratori.
La ricerca è stato svolta nell’Oceano Atlantico settentrionale, un vero e proprio hot-spot del cambiamento climatico poichè negli ultimi trent’anni il riscaldamento del mare è avvenuto a un tasso quattro volte superiore a quello medio mondiale, con un aumento effettivo di 1.31 °C. Se vi sembra un’inezia, siete in errore: anche piccole variazioni di temperatura influenzano profondamente i tassi di maturazione delle uova, la crescita e la sopravvivenza delle larve di pesci e, più in generale, le comunità planctoniche alla base della rete alimentare.
A causa dell’incremento termico la stragrande maggioranza dei pesci – ben il 72 per cento – ha modificato la propria abbondanza, nonostante il numero di specie presenti nell’area sia rimasto sostanzialmente costante. A questi risultati gli scienziati sono giunti sulla base di 11 survey indipendenti, svolte negli ultimi tre decenni su un milione di chilometri quadrati del Mar del Nord e aree limitrofe.
Si tratta della prima volta in cui gli effetti del riscaldamento globale sull’ecosistema marino vengono studiati misurando l’abbondanza assoluta e non solo la più ‘classica’ presenza/assenza delle specie (come a dire che fino ad ora valutazioni simili non prendevano in considerazone se una specie era costituita in loco da poche centinaia o da milioni di esemplari). Simpson e colleghi dimostrano ora che entrambe le informazioni siano necessarie; ne consegue che nel passato importanti effetti ecologici e economici del cambiamento climatico potrebbero essere stati sottostimati.
Ma l’aspetto più interessante del lavoro è un altro: i ricercatori hanno scoperto che per ogni specie locale in recessione – il cod, Gadus morhua, e l’haddock, Melanogrammus aeglefinus hanno registrato una riduzione del 50% negli ultimi trent’anni- ce ne sono altre tre la cui abbondanza aumenta all’aumentare della temperatura. Quest’ultime sono per lo più specie “meridionali”, caratterizzate da taglie minori, maggiori accrescimenti e tempo di vita più corto, potenzialmente più “biodiverse”.
Insomma il riscaldamento dell’acqua avrebbe consentito una ripresa della biomassa, ovvero della quantità di pesce presente. Ciò significherebbe che i mari Europei possiedono ancora il potenziale per supportare una pesca produttiva e sostenibile e che in futuro nuove specie potrebbero soppiantare quelle tradizionali sulle tavole di molti consumatori. Una buona notizia per un’area di pesca considerata in declino. A tal proposito vale la pena anche ricordare che la Comunità Europea sta lavorando in questi mesi a una riforma sostanziale della propria policy di pesca, che dovrebbe ridurre significativamente la sovra-pesca e gli impatti sugli ecosistemi marini. Vi terremo aggiornati.