LA VOCE DEL MASTER – Nanoparticelle di carbonio caricate con farmaci antitumorali si sono dimostrate, sui topi, più efficienti dei farmaci convenzionali contro alcuni tipi di cancro, in particolare se somministrate durante la radioterapia. Lo riporta uno studio di un team internazionale di ricercatori, dislocato tra la Rice University e l’M. D. Anderson Cancer Center della University of Texas, appena apparso online su ACS Nano.
La nuova strategia utilizza delle nanoparticelle di carbonio come vettori per i principi attivi della chemioterapia antitumorale: il farmaco vero e proprio (chiamato Paclitaxel) viene incapsulato nelle nanoparticelle e rimane nascosto finché queste arrivano in prossimità delle cellule cancerose, dove viene rilasciato come un vero e proprio killer. I ricercatori hanno notato che i risultati migliori, quelli in cui la crescita della massa tumorale è stata visibilmente rallentata, corrispondono a quelli in cui la radioterapia è stata associata al trattamento farmacologico con le nanoparticelle, funzionando quindi anche come coadiuvanti radioterapici.
Le nanoparticelle sono state inoltre dotate di un sistema di riconoscimento (l’anticorpo Cetuximab) che le guida solo verso le cellule malate e non verso quelle sane, che in questo modo non vengono intaccate come invece avviene nelle chemioterapie convenzionali.
Siamo dunque dinanzi a un sistema che gli stessi ricercatori definiscono multimodale: la sinergia con la radioterapia potenzia l’efficacia antitumorale e gli effetti collaterali risultano allo stesso tempo ridotti.
Per ora gli esperimenti sono stati effettuati su topi malati di carcinoma subcutaneo, che sono stati sottoposti per trenta giorni a un trattamento con nanoparticelle recanti il farmaco e a radioterapia. I ricercatori prevedono di mettere a punto un protocollo per la formulazione ottimale in modo da passare al più presto ai test clinici sull’uomo nella cura di tumori che interessano la testa e il collo.
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