SALUTE – Da una parte allergie e malattie autoimmuni, che sono in aumento. Dall’altra la biodiversità che, al contrario, è in rapido declino. E se i due trend fossero collegati? L’allergologo Tari Haahtela dell’Università di Helsinki non ha dubbi: il collegamento esiste e passa anche per un altro elemento, cioè la varietà dei batteri che vivono sulla nostra pelle. Haahtela parla di “ipotesi biodiversità”: l’idea è che il ridotto contatto delle persone con l’ambiente naturale alteri i circuiti di regolazione dell’attività immunitaria e che questo spiani la strada a quei disturbi in cui il sistema immunitario prende di mira sostanze innocue (allergie) o lo stesso organismo a cui appartiene (autoimmunità). Un’ipotesi che sembra trovare conferma nei risultati di un’indagine condotta dal medico (e collaboratori) su un centinaio di adolescenti finlandesi .
I ricercatori hanno preso in considerazione 118 ragazzi tra i 14 e i 18 anni, tutti concentrati in un’area orientale della Finlandia, ma con casa in ambienti molto diversi: chi in città, chi in piccoli villaggi di campagna, chi in cascine isolate. Del campione facevano parte anche soggetti con sensibilizzazione atopica, una condizione che comporta sensibilità agli allergeni e dunque predisposizione alle allergie. Per prima cosa Haahtela e colleghi hanno valutato due fattori: la ricchezza della biodiversità selvatica o agricola in un raggio di 3 km dall’abitazione di ciascun partecipante e la ricchezza della biodiversità batterica (microbiota) sulla sua pelle. Poi hanno incrociato i dati per vedere se saltava fuori qualche correlazione.
E così è stato. Si è scoperto per esempio che i ragazzi immersi in un ambiente a ricca biodiversità avevano anche un più ricco microbiota. Ma soprattutto che quelli con atopia vivevano tendenzialmente in ambienti poveri di biodiversità in città) e che mostravano una minore diversità, rispetto ai coetanei sani, di una classe particolare di batteri, i gammaproteobatteri. Del resto, si tratta di microrganismi che si trovano in particolare nel suolo e sulle piante, dunque l’osservazione ha perfettamente senso. I ricercatori, però, si sono accorti anche di un’altra cosa e cioè che negli individui sani la presenza di uno specifico gammaproteobatterio, Acinetobacter, è associata a livelli elevati di una molecola antiinfiammatoria, l’interleuchina 10, nel sangue. Il che ne suggerisce un ruolo nel mantenere tollerante il sistema immunitario, evitando derive aggressive contro sostanze innocue.
Insomma la biodiversità conta, anche per la salute: sia quella macroscopica, delle piante selvatiche o agricole, sia quella microscopica dei batteri nostri commensali. In un mondo che si appresta a essere sempre più urbanizzato (si prevede che nel 2050 due terzi della popolazione mondiale vivranno in città) è un dato imprtante. E offre un motivo in più per preoccuparsi della protezione dell’ambiente.
Immagine di Grin