FUTURO – 23:59:60. Così, alla fine della giornata del 30 giugno, apparivano i quadranti degli orologi atomici che misurano il tempo UTC (Tempo coordinato universale). Non si è trattato di un malfunzionamento, tutt’altro: quel secondo in più è stato aggiunto per avvicinare il tempo universale al tempo solare.
Questi due, infatti, non coincidono esattamente. Mentre il tempo solare deriva, appunto, dalla divisione del giorno in base al moto della Terra rispetto al Sole, il tempo universale, pur usando le stesse unità di misura (ore, minuti, secondi…), si affida invece alla misurazione tramite orologi atomici, dove un secondo è calcolato in base al tempo con cui gli atomi emettono e assorbono radiazioni a determinate frequenze. A confronto, il moto di rotazione della Terra è drammaticamente più impreciso.
Che fare quindi? Di comunque accordo, si aggiunge, di solito tra giugno e luglio e tra dicembre e gennaio, un secondo in date e anni precisi, in modo che la differenza tra i due sistemi non superi mai i 0,9 secondi.
È ben dal 1972 che si fa uso del secondo intercalare, ma solo recentemente sembra che questo faccia notizia. Il motivo è semplice: sempre più sistemi di larghissimo consumo si basano sull’UTC e, per quanto si cerchi di agire in modo coordinato, quell’aggiunta di un secondo, in apparenza quasi discreta, può avere conseguenze serie.
L’UTC è l’ora di riferimento di Internet, è vitale infatti che tutte le macchine, per poter comunicare, siano tra loro sincronizzate. E anche limitandoci ai server, cioè ai calcolatori che, semplificando, smistano il traffico, stiamo parlando di decine di milioni di strumenti (solo Google, ad agosto 2011, ne possedeva 900.000). Quando è inserito il secondo intercalare, se il sistema non è perfettamente aggiornato, alcune macchine riconosceranno un certo dato come “impossibile”, poiché, ad esempio, risulta arrivato a destinazione prima che del suo invio, o nello stesso momento.
Un problema simile, in linea di principio, a quello del celebre Millennium bug, ma in quel caso i danni furono limitati rispetto alle previsioni catastrofiche dei media, poiché il problema era conosciuto con largo anticipo, mentre l’introduzione del secondo intercalare viene annunciata al massimo sei mesi prima.
Google dal 2011, come spiegato sul blog ufficiale, usa appunto un sistema che consente all’infrastruttura di arrivare preparati al secondo fatidico, ma non tutte le compagnie hanno le risorse di Big G, né tutte usano gli stessi sistemi. Quest’anno il secondo intercalare ha causato problemi a Reddit (una popolare piattaforma per la condivisione di news e contenuti generati dagli utenti), Gawker (un sito di news dedicato al gossip), 4chan (la più popolare imageboard del pianeta, fondamentale nella creazione del mito di Anonymous ), LinkedIn e altri.
Ma c’è qualcosa di peggio di rinunciare per qualche ora alla propria dose di Lolcats: col diffondersi del cloud computing nella nuvola oltre il vostro router avvengono calcoli rapidissimi possibili solo grazie al fatto che più calcolatori possono parlarsi tra loro.
Per questo da qualche anno in molti si chiedono: ne vale la pena?
Secondo alcuni infatti a potremmo fare tranquillamente a meno di usare come sistema di riferimento l’ora solare, con buona pace del turismo a Greenwich, mentre secondo altri sarebbe sufficiente che i sistemi informatici adottassero come riferimento, invece del tempo UTC, il tempo utilizzato dai sistemi GPS, anch’esso basato su orologi atomici, ma che non fa uso del secondo intercalare.
A gennaio si è tenuta un’assemblea della International Telecommunication Union appunto per decidere se mandare in pensione o meno il GMT (Greenwich Mean Time) e contestualmente il secondo intercalare. Come si può leggere dal comunicato stampa del giorno successivo, si è deciso di inserire tre anni intercalari e rimandare la decisione (si spera) al 2015, in modo che “tutti gli stakeholders si trovino adeguatamente concordi a compiere un passo che chiaramente condizionerà il nostro futuro”.
Tutto per un secondo.
Crediti immagine: By Walt Disney (Original trailer (1951)) [Public domain], via Wikimedia Commons