CRONACA – Appena concluso lo studio più completo sulla storia del patrimonio genetico delle popolazioni indigene americane, realizzato a partire da dati genetici di 500 persone provenienti da 52 popolazioni amerindie e 17 siberiane. L’analisi, condotta da un consorzio di una sessantina di ricercatori europei e americani, tra i quali anche diversi italiani, è stata svolta su circa 364mila marcatori genetici e ha permesso di prendere in considerazione, per la prima volta, le mescolanze tra caratteri europei e africani di ogni individuo. Questi mix di caratteristiche somatiche sono noti in campo genetico come meticciamento.
Il lavoro, pubblicato questo mese sul sito di Nature, dimostra l’esistenza, nel corso della storia, di tre ondate di popolamento distinte provenienti dalla Siberia: a ogni nuova ondata, avrebbero avuto luogo vasti scambi di materiale genetico tra le popolazioni preesistenti e le nuove arrivate. Di queste analisi genetiche non si potrà fare a meno di tenere conto, nei futuri studi antropologici e medici condotti nel continente americano. La ricerca sulle popolazioni amerindie, tra l’altro, segue a breve distanza un altro studio, sulle popolazioni dell’Etiopia, nel quadro del complesso di discipline che studia, attraverso dati provenienti da genetica, linguistica e antropologia, la storia dell’evoluzione delle popolazioni umane, e di cui è stato pioniere un cervello italiano emigrato negli Stati Uniti ormai da decenni: parliamo, naturalmente, dell’arcinoto genetista genovese Luigi Luca Cavalli-Sforza.
Grazie ai chip a Dna, la tecnica più potente a oggi nota di analisi dei genomi, i ricercatori hanno potuto ottenere una visione d’insieme del campione selezionato, e lo studio dei marcatori genetici ha permesso loro di stabilire il grado di differenza o di somiglianza genetica delle popolazioni rappresentate. A questo scopo, è stato necessario portare a termine un enorme lavoro di elaborazione informatica dei dati: in particolare, si sono dovute rilevare correttamente, e poi interpretare, le tracce genetiche del meticciamento europeo e africano, cui le popolazioni native sono andate incontro dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo.
Le analisi confermano che la maggior parte delle popolazioni indigene d’America, dagli algonchini del Québec agli yamana della Terra del Fuoco, passando per i maya-kaqchikel del Guatemala, discendono da un’onda migratoria originata in Siberia circa 15mila anni fa. L’analisi genomica mostra che la maggiore diversità genetica tra individui si trova in Nordamerica, mentre le popolazioni geneticamente più omogenee sono quelle sudamericane, il che conferma l’asse nord-sud di popolamento del continente.
Il consorzio di genetisti ha poi mostrato l’esistenza di altre di onde di popolamento asiatico, avvenute dopo la prima, fornendo una spiegazione consistente con il modello a tre ondate proposto nel 1986 da Greenberg, Turner e Zegura, e che, all’epoca, non aveva riscosso particolare successo, non essendo riuscito a convincere la comunità degli antropologi fisici. Le due ondate successive che seguirono quella comunemente nota come First American rimasero però limitate all’Alaska, al Canada e al nord degli Stati Uniti. Contrariamente a quanto affermato dal modello del 1986, i dati attuali mostrano che le popolazioni sopraggiunte si sono mischiate a quelle già presenti. In questo modo, si sono formate le popolazioni eschimo-aleutine e chipewyan.
Questo lavoro ha anche permesso di risolvere un enigma riguardante il patrimonio genetico degli indigeni di lingua chibcha che abitano Panama: i chibcha sarebbero infatti il risultato di una mescolanza di popolazioni che si spostavano dal Messico, dirette a sud, e da un riflusso di popolazioni che risalivano il Venezuela e la Colombia.
La grande abbondanza di dati genetici raccolti dal consorzio dovrebbe avere nei prossimi tempi un gran numero d’applicazioni, soprattutto per quanto riguarda le relazioni uomo-ambiente. Per esempio, alcuni gruppi del consorzio s’interesseranno, a partire dalle analisi effettuate, alla distribuzione di altri marcatori genetici di popolazioni che potrebbero presentare un vantaggio selettivo rispetto a certe malattie infettive presenti nel continente americano.
Crediti immagine: Jsbarrie