CRONACA – Un polmone in un microchip. Lo ha realizzato due anni fa l’équipe di Donald Ingber del Wyss Institute di Harvard, uno dei massimi centri di bioingegneria del mondo. E ora il dispositivo, da subito apparso come molto promettente, comincia a dare prova della sua effettiva utilità. Ingber e colleghi, infatti, sono riusciti a mimare nel microchip anche una malattia: una condizione di edema polmonare indotta da farmaci. Un bel passo avanti lungo la strada che, pensano i ricercatori, potrebbe portare gli organi on a chip a sostituire i metodi tradizionali (in particolare la sperimentazione animale) nella ricerca fisiologica di base e nello sviluppo di nuovi farmaci.
Dal punto di vista strutturale il chip, delle dimensioni di una memoria da cellulare, è piuttosto semplice. Si tratta di un dispositivo di microfluidica realizzato in una lastrina di vetro trasparente e costituito da tre canalini paralleli. Quello centrale è separato in due metà, inferiore e superiore, da una membrana porosa, sui due lati della quale si trovano due strati di cellule umane, rispettivamente cellule di rivestimento dei capillari e cellule di rivestimento degli alveoli polmonari. Metà canale dunque funziona da via aerea e metà da vaso sanguigno e le due vie sono in stretta adesione tra loro, proprio come accade nei polmoni veri. I due canalini laterali hanno invece una funzione meccanica e servono a simulare i movimenti respiratori quando nel dispositivo viene creato il vuoto.
La squadra di Ingber aveva già mostrato che il polmone sul chip è in grado di “respirare” come un polmone reale, ma serviva qualcosa in più per capire se il dispositivo può essere considerato a tutti gli effetti una simulazione dell’organo umano. Come banco di prova è stato scelto il “trattamento” con interleuchina-2 (IL-2), una sostanza che viene utilizzata come chemioterapico nel trattamento di alcuni tumori e che può provocare edema polmonare come importante effetto collaterale: una condizione potenzialmente mortale in cui i polmoni si riempioni di fluido e di coaguli di sangue.
Ebbene, quando nel “vaso sanguigno” del chip è stata introdotta IL-2 in quantità paragonabili a quelle usate in ambito clinico, si è subito osservata la comparsa di fluido e coaguli nella via aerea. Non solo: Ingber e colleghi hanno osservato che questo effetto diventa ancora più marcato quando il dispositivo mima i movimenti respiratori. Questo suggerisce che i medici che stanno trattando con IL-2 pazienti sottoposti a ventilazione meccanica dovrebbero regolare attentamente il volume di aria in ingresso per minimizzare gli effetti negativi del farmaco.
Il passaggio successivo? Testare nuovi farmaci per ridurre l’edema polmonare su questo modello on a chip. Per ora, quello che conta è che gli organi in vitro stanno crescendo. E, come dicevamo, potranno servire a sostituire gli animali in molti esperimenti di laboratorio. La ragione non è soltanto etica: se è vero che gli animali non sono modelli perfetti, è anche vero che spesso non c’è alternativa, perché sono comunque i modelli che più si avvicinano all’uomo. Dispositivi microfluidici in grado di mimare esattamente fisiologia e patologia dei nostri organi potrebbero essere modelli ancora più affidabili, per di più a un prezzo inferiore a quello della sperimentazione animale.
Immagine e video: cortesia di Wyss Institute, Harvard University