Presentato il primo polpastrello bionico
È in grado di riconoscere le singole proprietà degli oggetti come forma e texture. A breve i primi esperimenti per protesi umane
RICERCA – La possibilità di restituire il senso del tatto a una persona cui è stata amputata la mano è sempre più vicina. L’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha infatti presentato il polpastrello bionico, un dispositivo in grado di percepire pressione, morbidezza e curvatura di un oggetto e riconoscere di che materiale è costituito. Secondo i ricercatori entro un anno sarà possibile ottenere i primi risultati sugli esseri umani per la messa a punto di protesi innovative.
«La nostra priorità è riuscire a migliorare la vita delle persone, specialmente quella di chi ha perso la mano, attraverso la tecnologia» spiega Calogero Oddo, responsabile dello Human Machine Nexus Laboratory dell’istituto pisano. «Al momento il nostro dito robotico ha microsensori che segmentano l’esperienza tattile secondo diverse qualità, emulando la distribuzione dei meccanorecettori naturali che abbiamo sulla punta delle dita, in modo da permettere a chi indosserà le future protesi di percepire la texture dell’oggetto che sta toccando, oltre alla morbidezza e alla sua forma».
Al momento dunque è stato sviluppato un prototipo di polpastrello bionico in grado di riconoscere con l’intelligenza artificiale le singole qualità degli oggetti, ma l’obiettivo del futuro è di costruire un dispositivo impiantabile che riconosca in modo integrato tutte le qualità tattili. Quello che fa il nostro cervello automaticamente quando tocchiamo per esempio una superficie. Una complessità a cui non pensiamo perché l’interazione tattile avviene in modo naturale, ma tutt’altro che banale da riprodurre.
La messa a punto di una tecnologia come questa richiede un avanzamento parallelo della ricerca di base, anche perché il tatto è oggi il senso di cui sappiamo meno. «Per la comprensione della fisiologia dell’udito e della vista sono stati attribuiti due premi Nobel, rispettivamente nel 1961 e nel 1969, mentre il senso del tatto necessita di nuove scoperte neuroscientifiche. Questa complessità deriva anche dalla caratteristica principale del senso del tatto, che è distribuito su tutto il corpo, mentre negli altri sensi gli organi recettivi sono localizzati», prosegue Oddo.
Lavorare in team multidisciplinari e numerosi è fondamentale per riuscire a sviluppare neuroprotesi che permettano il recupero del senso del tatto. «Il nostro laboratorio è parte di ricerche finanziate a livello europeo, nazionale e regionale, che coinvolgono bioingegneri, robotici, scienziati dei materiali, neuroscienziati e gruppi clinici», sottolinea lo scienziato.
La ricerca biomedica però non è l’unica frontiera per l’applicazione del senso del tatto artificiale. «Fra qualche anno prevediamo una nuova rivoluzione anche dal punto di vista della tecnologia commerciale presente nella nostra quotidianità – spiega Oddo – come per esempio quella delle “televisioni tattili”. Anche per il tatto stiamo realizzando un percorso analogo a quello che ha portato negli ultimi anni l’ingegneria a produrre dispositivi come lettori mp3 o telefonini con videocamere integrate». L’obiettivo è di realizzare la telepresenza multisensoriale, che comprenda cioè anche la comunicazione tattile a distanza. ‘«I nostri dispositivi potrebbero per esempio permetterci in futuro di stringerci la mano a distanza».
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