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Un cuore a pezzi (per davvero)

SALUTE - Non è proprio una buona notizia. Uno studio appena pubblicato sostiene che l'intenso stress psico-fisico conseguente alla perdita di una persona cara può aumentare il rischio di infarto. Non è del tutto una novità, già da qualche tempo i medici parlano di "sindrome del cuore spezzato", i cui sintomi ricordano quelli dell’infarto, ma non dipendono dall’occlusione delle arterie bensì da uno stato emotivo che mina le funzionalità cardiache. Lavori precedenti a questo più recente (pubblicato su Circulation) avevano già evidenziato un'innalzata probabilità di rischi cardiaci e morte dopo la perdita del coniuge o di un figlio. Questo capitanato da Elisabeth Mostofsky (del Beth Israel Medical Center di Boston) però è il primo ad analizzare in maniera sistematica gli effetti immmediati del lutto e dimostra che nel giorno successivo alla perdita di una persona cara il rischio di attacco cardiaco diventa ben 21 volte maggiore. Nel mese successivo il rischio cala ma resta sempre superiore alla media (nella settimana successiva alla perdita è sei volte piu alto del normale).

Greenjobs – Lavorare in una riserva marina

GREENJOBS - Un nuovo appuntamento con la nostra rubrica dedicata ai lavori legati all'ambiente. Questa esettimana abbiamo intervistato Milena Tempesta che ci ha raccontato cosa significa lavorare in una riserva marina (La Riserva Naturale Marina di Miramare del WWF). Buon ascolto

Diritto di replica

IL PARCO DELLE BUFALE - Dal 19 dicembre, il Corriere non pubblica questa risposta di numerosi ricercatori a un articolo di Pierluigi Battista: I sottoscritti, appartenenti alla comunità scientifica italiana, in particolare quella “meteoclimatica”, intendono manifestare il proprio dissenso nei confronti del Corriere della Sera ed, in particolare, dell’editorialista Pierluigi Battista, il quale nell’articolo “Se l’apocalisse ecologica adesso può aspettare” del 12 dicembre 2011, in merito al “global warming”, fa un generico ed infondato riferimento a “dati incautamente imprecisi forniti da una comunità scientifica inaffidabile e manovriera”.

C’eravamo tanto amati?

CRONACA - Sul Journal of Human Evolution, Fabio De Vincenzo e Giorgio Manzi, paleoantropologi dell'università La Sapienza, e Steve Churchill dell'università Duke, North Carolina, aggiungono nuovi particolari alla storia dei rapporti tra Neanderthal e H. sapiens. Non so se ne eravate informati, ma a lungo gli studiosi dell’evoluzione umana si sono interessati alla morfologia della fossa glenoidea della scapola, una cavità dell'articolazione della spalla nella quale poggia la testa dell'omero. A interessare i tre ricercatori è quella di un Neanderthal di circa 38 mila anni fa, ritrovata nella grotta di Vindija, in Croazia. Forse l'avete già sentita nominare: nel genoma di Neanderthal in parte sequenziato a partire dal Dna ricavato da reperti di quella grotta, ci sarebbero - al condizionale, in attesa di conferme - geni sapiens acquisiti con incontri ravvicinati circa centomila anni fa.

MrPod – Torrido inverno

"Avete tempo fino al 30 settembre per imparare la differenza fra clima, una tendenza di lungo periodo calcolata su decine e decine di anni, e tempo, quello che accade ora fuori dalla vostra finestra!" MRPOD - Così un programma satirico britannico prende in giro l'ignoranza che fa dire: "piove, che fine ha fatto al riscaldamento globale?" Che dire allora di questo caldo inverno? mentre si moltiplicano gli allarmi (flora alpina in pericolo per la fioritura precoce e siccità negli USA) il CNR diffonde il dato sul 2011, terzo anno più caldo dal 1800 (in Italia). Ne abbiamo palrato con Michele Brunetti, ricercatore all'Istituto di Scienze Atmosferiche e del Clima di Bologna (CNR).

Esternazione sciovinista

IL PARCO DELLE BUFALE - Anche il Corriere della Sera ha riferito della bella sorpresa, per i climatologi, uscita dagli Archivi nazionali di Fontainebleau, Francia. L'articolo riservava ulteriori sorprese. Quanto a storia del clima, noi francesi non arriviamo alla caviglia dei britannici e la cosa un po' ci pesa. Hanno i registri dei Lloyds di Londra e della Compagnia delle Indie, le osservazioni affidate ai diari dai reverendi anglicani che a Cambridge e Oxford avevano studiato "filosofia naturale", quattrocento anni di documentazione. Noi invece, alla Rivoluzione abbiamo fatto degli archivi di nobili ed ecclesiastici. Ma abbiamo appena ricuperato un paio di secoli. Nello scantinato di un edificio "ereditato dalla NATO" e chiuso dal 2005 per i lavori di bonifica dell’amianto, sono appena stati ritrovati 6.300 faldoni pieno di annotazioni affascinanti. Tra questi, scrive la collega del Corriere

Formiche pompate

NOTIZIE - “Porca miseria! Sembrano soldati mostruosi!”. Questa è stata la reazione (come dichiara lui stesso) di Ehab Abouheif quando si è imbattuto per la prima volta nei super-soldati delle Pheidole a Long Island. Abouheif è un biologo della McGill University che da quindici anni studia formiche, ma una cosa del genere non l’aveva mai vista, non lì, non nella costa orientale dello Stato di New York.

Come cresce un fiocco di neve

ARTE, MUSICA E SPETTACOLI - Per la serie time-lapse, questo video è bellissimo. Mostra come cresce un fiocco di neve in laboratorio. Qui trovate come è stato fatto il video (è servito per comprendere in laboratorio come piccole differenze di temperatura cambino drasticamente la crescita dei cristalli di ghiaccio, il paper a opera di un gruppo di ricerca del Caltech lo trovate sugli Arxiv).

Quanto spendiamo per la ricerca?

ECONOMIA - L’1,26% del Pil. Ecco quello che l’Italia investe in ricerca e sviluppo, secondo gli ultimi dati dell’Istat. Nel 2010 sono stati stanziati circa 19 miliardi di euro, oltre la metà da parte delle imprese. Lo Stato, le Regioni e le province autonome hanno finanziato solo 8,8 miliardi di euro, un cifra ancora inferiore rispetto agli anni precedenti. Nel nostro Paese - e non è una novità purtroppo – si spende troppo poco per la ricerca rispetto all’Europa, dove la media della spesa si attesta intorno al 2% del Pil. Inoltre, sempre rispetto agli altri Paesi europei l’Italia è agli ultimi posti: solo Grecia, Ungheria e Polonia investono meno di noi in ricerca e sviluppo. Il quadro che emerge dal report dell’Istituto di statistica non è molto confortante. Non solo gli investimenti non aumentano, ma calano anche gli stanziamenti pubblici. Nonostante la scarsità di risorse la ricerca italiana continua a far parlare di sé: dalla velocità dei neutrini al bosone di Higgs, solo per ricordare gli ultimi successi in campo internazionale.
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