COSTUME E SOCIETÀ – Un po’ mi inquieta. Ditemi voi che ne pensate.
Un team di scienziati dell’Università Rocherster si è inventato una app (GermTracker, che deriva da uno studio condotto l’anno scorso, nell’aerea di New York) che permette di capire se e quando una persona si ammalerà basandosi sulla sua attività su Twitter. Il sofware usa tutti i dati possibili: i contenuti degli status ma anche la posizione geografica dell’utente basandosi sui dati forniti dai dispositivi mobili.
L’approccio è interessante (veloce e a basso costo) per quel che riguarda il monitoraggio dei focolai epidemici, ma il software può fare di pù: può dare indicazioni ai singoli, per esempio su quali posti evitare, fornendo anche dati sulla probabilità di ammalarsi a seconda delle attività già svolte e quelle che si vogliono svolgere in futuro.
Per esempio spiega Adam Sadilek, uno degli autori, i ricercatori hanno notato che le persone che vanno spesso in palestra si ammalano di più di quelle che non lo fanno. Allo stesso tempo però gli imbroglioni, cioè coloro che dichiarano di andare e poi non lo fanno (si smaschera attraverso i dati GPS) si ammalano di più di chi ci va davvero.
Con la app una persona potrebbe osservare in tempo reale che per esempio nella metropolitana dove va di solito è pieno di gente ammalata e potrebbe preferire evitarla.
Come fa il software a capire cosa c’è scritto in un tweet? Attraverso una metodologia di machine learning. In pratica il sotware impara per prove ed errori a discirminare il contenuto dei tweet (credo anche con l’aiuto degli utenti della app – almeno a giudicare da qui)
Lo strumento, se funziona, è potente, permetterebbe di incrociare in maniera automatizzata una mole enorme di dati relativi alla salute pubblica (e dei singoli cittadni). Si tratta di un esempio di quello che diventerà sempre più centrale nelle nostre vite, il data mining e cioè tutte quelle tecniche d’avanguardia per cavare informazioni coerenti dall’enorme mole di dati (sì, tutti i nostri tweet, post su Facebook, foto, video, ecc.) che viaggia costantemente attraverso la rete. Il lavoro viene presentato oggi alla ottava conferenza sulla Ricerca in rete e Data Mining che si tiene a Roma a partire da oggi.
Quello che a me inquieta è che siamo forse consapevoli di ogni singolo pezzo di informazione che rendiamo pubblico (una foto, uno status, la nostra posizione in un certo momento) ma lo siamo anche dell’informazione che “emerge” dal mettere insieme tutti i pezzi? Questa informazione è “qualitativamente” diversa dai singoli oggetti della costellazione che la forma, “Il tutto è diverso dalla forma delle sue parti” sosteneva la Gestalt (non la scuola di pisicoterapia, ma il gruppo di piscologi sperimentali tedeschi che studiavano i principi della percezione della forma). Il data mining fa proprio questo, dà un significato coerente molto ricco e molto diverso dai singoli pezzetti che usa per comporlo, a partire da tutte le nostre apparizioni digitali.
Non voglio demonizzare internet, i social network, né voglio esaltare una difesa senza se e senza ma della privacy, solo, ecco, quando la conoscenza avanza e la tecnologia progredisce ci troviamo di fronte a scenari inaspettati e problemi su cui ragionare. Sono sicura che questo ragionamento avrà un suo spazio nella conferenza che si inaugura oggi a Roma.