CRONACA – Le estinzioni di massa si sono verificate a più riprese nel corso della storia del nostro pianeta. Verso la fine del Pleistocene, Sud America e Australia furono sconvolte da numerose estinzioni, che coinvolsero 97 generi di grandi mammiferi, diffusi negli ambienti di savana comuni all’epoca. La cosiddetta “megafauna” del Sud America comprendeva per esempio i gliptodonti, pesanti e corazzati cugini degli attuali armadilli, i bradipi giganti e alcuni stretti parenti degli elefanti. Da tempo si indaga sulle cause di queste grandi estinzioni, con il sospetto che dietro ci sia anche lo zampino dell’uomo. Ma quello che ancora non era stato preso in considerazione è l’impatto di un tale drastico evento sull’ecosistema, e in particolare sui cicli biogeochimici dei nutrienti.
Uno studio inedito, recentemente apparso su Nature, suggerisce che l’estinzione dei grandi mammiferi abbia causato un netto calo della disponibilità di nutrienti nell’areale in cui gli animali erano diffusi. Come argomentano gli autori – Christopher E. Doughty e Yadvinder Malhi dell’Università di Oxford e Adam Wolf dell’Università di Princeton – gli animali sono un veicolo fondamentale per la distribuzione delle sostanze nutritive nell’ambiente, e questo vale in particolar modo per quelli di grandi dimensioni, che nel corso dei loro lunghi spostamenti attraverso i loro ampi areali hanno un peso significativo nella distribuzione orizzontale dei nutrienti.
Oggi la megafauna è confinata quasi del tutto in Africa, e se in futuro gli elefanti dovessero estinguersi la fertilità dei suoli potrebbe subire un calo vertiginoso. È quello che avvenne a partire da circa 12.000 anni fa in Sud America, quando l’estinzione dei grandi mammiferi provocò un forte declino della concentrazione dei nutrienti, soprattutto nella regione orientale dell’Amazzonia. In questa zona, più ci si allontana dai bacini fluviali – in cui la fertilizzazione dei suoli è garantita dall’apporto di sedimenti da parte dei corsi d’acqua – più il terreno si fa povero di fosforo, un elemento fondamentale, che limita la proliferazione soprattutto della vita vegetale.
Un tempo la diffusione del fosforo e di altri elementi essenziali in questi luoghi era resa possibile dal trasporto ad opera dei grandi mammiferi, che li distribuivano per mezzo delle deiezioni e dopo la loro morte anche a grandi distanze.
Per calcolare con precisione l’impatto della megafauna nella distribuzione dei nutrienti, Doughty e colleghi hanno elaborato un modello matematico simile a quello usato dai fisici per calcolare la diffusione del calore. Il modello si basa sulle dimensioni corporee, e si avvale dei dati già pubblicati ottenuti sui resti fossili. Esso permette di stimare quanto le specie estinte mangiavano e defecavano, e soprattutto l’ampiezza dei loro spostamenti all’interno dell’areale.
L’applicazione del modello dimostra che gli animali di grandi dimensioni sono di gran lunga più importanti di quelli piccoli per la distribuzione dei nutrienti, perché si spostano molto di più ed eliminano feci in quantità ben maggiori. Il caso del bacino amazzonico, su cui si sono focalizzati i ricercatori, è particolarmente emblematico: l’impatto dei grandi mammiferi sulla circolazione del fosforo nell’est dell’Amazzonia era talmente elevato che in seguito alla loro estinzione il trasferimento orizzontale del fosforo sarebbe calato addirittura del 98%. E oggi, a 12.000 anni di distanza, tale declino appare essere tuttora in corso.
Questi impressionanti risultati danno adito a ulteriori riflessioni. Come detto, si sospetta che anche i nostri antenati abbiano contribuito alle grandi estinzioni pleistoceniche. Se così fosse, l’impatto antropico sull’ambiente a scala globale sarebbe iniziato persino prima dell’origine dell’agricoltura. L’avvento delle pratiche agricole, poi, con la tendenza a concentrare le sostanze nutritive per mezzo dei fertilizzanti, ha sempre più limitato la distribuzione orizzontale dei nutrienti. Come risultato, nel mondo attuale è netto il contrasto tra zone in cui è troppo alta la concentrazione di nutrienti (le zone nei pressi delle aree agricole) e zone povere di sostanze nutritive (gli ecosistemi naturali).
Crediti immagine: Pavel Rhia, Wikimedia Commons