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Alla scoperta della riproduzione suicida nei mammiferi

800px-Agile_Antechinus_(Antechinus_agilis)_on_cloth,_close-up_from_frontRICERCA – Dura la vita per i maschi appartenenti ad alcune specie di Dasyuridae, una famiglia di marsupiali diffusa in Australia, Nuova Guinea e Sudamerica: trascorrono, infatti, la quasi totalità del loro ciclo vitale da individui sessualmente immaturi e, non appena hanno la possibilità di riprodursi, muoiono di stenti subito dopo l’accoppiamento. In queste specie, infatti, circa il 90% dei maschi rimane senza vita immediatamente dopo l’atto sessuale, mentre il restante 10% muore nei giorni successivi. In generale, solo i più fortunati riescono ad accoppiarsi con più di una femmina nell’arco di pochi giorni, mentre nessuno è in grado di affrontare due diverse stagioni riproduttive. La causa che determina la morte è proprio il lungo e debilitante accoppiamento, che in alcune specie può durare fino a 14 ore ininterrotte. Al termine della copula, infatti, il decesso sopraggiunge a causa del collasso del sistema immunitario, determinato dalla presenza nel sangue di concentrazioni estremamente elevate degli ormoni dello stress, a loro volta dovute alla soppressione del meccanismo che ne regola i livelli in circolo. Insomma, un collasso fisiologico dovuto ad una strategia riproduttiva molto singolare, paragonabile al suicidio.

Sebbene sia molto comune nel regno animale (specialmente tra gli invertebrati), la semelparità, ovvero la modalità riproduttiva in cui un individuo si riproduce una sola volta nel corso della vita, è un comportamento estremamente raro nei mammiferi. Se si aggiunge la curiosità suscitata da questa strategia riproduttiva, osservata solo nelle specie dei generi Antechinus, Phascogale e Dasykaluta, piccoli marsupiali insettivori (esternamente) simili ai topi, si comprende l’interesse che gli etologi di tutto il mondo hanno sempre manifestato nei confronti di tale comportamento. Nel corso dei decenni, sono state infatti elaborate diverse ipotesi sulle cause che ne hanno determinato l’evoluzione e il mantenimento nel corso del tempo. Alcune fanno riferimento all’esistenza di vincoli nello sviluppo dei maschi, che li renderebbe suscettibili alla morte in seguito all’accoppiamento, ma non hanno mai ricevuto prove empiriche a supporto. Altre, invece, sono basate sull’altruismo: i padri morirebbero per evitare di competere per le risorse con i propri figli. Anche in questo caso, però, ci sono molti dubbi, in quanto tali modelli fanno riferimento alla selezione di gruppo, una teoria rifiutata dalla maggioranza dei biologi evoluzionisti. Inoltre, in queste specie i maschi non sarebbero mai certi della paternità a causa del comportamento estremamente promiscuo delle femmine, che si accoppiano con diversi partner nel corso della medesima stagione riproduttiva. Quali sono, dunque, le ragioni che spingono questi piccoli mammiferi a suicidarsi durante l’accoppiamento?

Un recente studio su PNAS ha mostrato come la chiave per comprendere tale comportamento sarebbe proprio da ricercare nella promiscuità femminile che, unita a fattori di carattere ambientale come la stagionalità del cibo, imporrebbe ai maschi di competere per la paternità fino allo sfinimento. Confrontando 52 specie di dasiuridi, tra cui diverse non suicide, emerge che il suicidio maschile si manifesta prevalentemente nelle specie in cui il periodo degli accoppiamenti è particolarmente corto, e coincidente con il picco annuale di abbondanza delle risorse alimentari. È in tali situazioni che la competizione per ottenere la paternità dei futuri cuccioli si fa particolarmente serrata e l’investimento maschile nella copulazione diventa quindi molto elevato. Se si considera la predisposizione delle femmine ad accoppiarsi più volte, si capisce perché i maschi facciano di tutto per rimanere più tempo possibile a contatto con le proprie partner, trasferendo quindi maggiori quantitativi di spermatozoi, anche a costo di perire.

Non è un caso, continua lo studio, che le specie in cui si evidenzia la morte dei maschi subito dopo l’accoppiamento siano anche quelle in cui la dimensione relativa dei testicoli è maggiore. Diversamente a quanto accade in diversi mammiferi in cui i maschi si affrontano a viso aperto per la conquista delle femmine oppure competono per le loro attenzioni mediante ornamenti elaborati, in questi piccoli marsupiali un maggior successo riproduttivo lo si ottiene mediante la cosiddetta competizione spermatica. Non sono gli individui ma gli spermatozoi dei diversi maschi che competeranno per fecondare gli ovuli. La selezione precopulatoria imposta dalle femmine, sia tramite il loro comportamento promiscuo che mediante l’accorciamento del periodo riproduttivo, avrebbe pertanto favorito l’evoluzione della riproduzione suicida in questi mammiferi. E ai maschi non resta che morire felici, nella speranza che siano i propri spermatozoi a fecondare la tanto agognata femmina.

Crediti immagine: Mel Williams, Wikimedia Commons

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Andrea Romano
Biologo e giornalista scientifico, lavora come ecologo all'Università degli Studi di Milano, dove studia il comportamento animale. Scrive di animali, natura ed evoluzione anche su Le Scienze e Focus D&R. Dal 2008, è caporedattore di Pikaia - portale dell'evoluzione