CRONACA – C’è qualcuno che ha ammesso di essersi fatto spedire dall’Arabia Saudita a casa propria il virus responsabile dell’influenza aviaria. Il caso è avvenuto nel 1999, molto tempo fa ormai, ed è stato trattato qualche anno dopo dalla neonata agenzia americana per la sicurezza interna, la Homeland Security, istituita dopo il settembre 2001 per rispondere ai potenziali attacchi terroristici. Allora cosa c’entra l’Italia in tutto questo e perché dopo molti anni se ne legge nei quotidiani? É molto semplice, l’uomo alla cui casa sono arrivati i virus tramite corriere è italiano.
Si chiama Paolo Candoli ed era uno dei dirigenti della Merial Italia, la divisione per la salute animale della Sanofi-Aventis spa; in particolare Candoli si occupava (e secondo il sito dell’azienda tutt’ora si occupa) del Business aviarie. Gli stabilimenti italiani della Merial, come si legge sulla pagina di presentazione, si occupano di produrre, controllare, distribuire vaccini aviari inattivati destinati alla profilassi di alcune patologie che colpiscono polli, galline, tacchini – tra le quali influenza, bronchite, malattia di Newcastle, salmonella.
Da quanto rivelato agli inquirenti statunitensi dal dirigente Merial, fra i contatti sulla sua lista di “procacciatori dei virus” ci sarebbero stati alcuni colleghi italiani dell’ Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, un ente sanitario che lavora sotto il controllo del Ministero della Salute e che si occupa di ricerca e controllo nell’ambito della salute animale. I nomi fatti da Candoli sono quelli di Igino Andrighetto, direttore della struttura; Stefano Marangon, direttore sanitario; Giovanni Cattoli, direttore della Struttura complessa SCS5 Ricerca e innovazione del DSBio e Ilaria Capua, dirige il dipartimento di Scienze biomediche comparate, dal 2013 deputata del Parlamento per Scelta Civica e vicepresidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera.
Tutti dipendenti pubblici quindi e tutti indagati dalla Procura di Roma per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso di ufficio e inoltre per il traffico illecito di virus. La notizia dell’indagine italiana, portata avanti dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, ex direttore della direzione distrettuale antimafia italiana, è stata anticipata da un’inchiesta del settimanale l’Espresso. Le accuse che l’indagine italiana sta portando avanti sono tutte molto gravi e spaziano dall’importazione di virus senza i debiti controlli e in condizioni poco sicure alla vendita da parte dei dirigenti dell’Istituto zooprofilattico dei virus alle aziende farmaceutiche e veterinarie fino anche all’istituzione di un vero e proprio monopolio dei vaccini contro l’influenza aviaria approfittando della situazione di emergenza negli anni dal 1999 al 2005.
Secondo l’inchiesta de l’Espresso Ilaria Capua insieme al marito e agli altri due dirigenti dell’istituto Zooprofilattico delle Venezie hanno costruito un sistema per controllare la produzione e la vendita dei vaccini contro i ceppi virali dell’influenza aviaria vendendo i virus in nero e in anticipo rispetto a quanto sarebbe stato possibile secondo la burocrazia italiana solamente a due aziende: la Merial Italia e la Forte Dodge Animal, creando un vero e proprio cartello commerciale. Le indagini dei NAS e della Procura di Roma si stanno inoltre incentrando, sostiene il settimanale l’Espresso, sul ruolo delle aziende come anche dell’Organizzazione mondiale della Sanità nella gestione mediatica dell’emergenza aviaria del 2004-2005 che avrebbero appositamente esagerato la pericolosità della situazione per vendere un maggior numero di vaccini.
A una settimana dall’uscita dell’articolo le risposte non sono mancate, soprattutto da parte di Ilaria Capua. La famosa virologa italiana – fu lei che per la prima volta nel 2006 rese di dominio pubblico la sequenza del virus H5N1 su un database genetico aperto – ha ripetutamente risposto tramite la stampa alle voci dell’indagine, sostenendo la propria totale estraneità ai fatti. Come sottolinea in una sua intervista pubblicata su il blog del Corriere della Sera La 27° ora l’inchiesta de L’Espresso si basa su una coincidenza molto sospetta: si sostiene infatti che l’inizio dei casi di influenza aviaria nel nord Italia nel 1999 si debba far risalire all’arrivo a casa di Paolo Candoli di un pacco contenete virus di aviaria arrivati dall’Arabia Saudita.
Il problema è che i virus che hanno colpito Italia e Arabia erano completamente diversi, come sostiene la Capua: «si tratta di due virus che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Quello saudita è del tipo H9N2, l’italiano è H7N1». Altro fatto di cui tener conto è la messa sul mercato di vaccini prodotti a partire da virus non ottenuti secondo i canali ufficiali, ovvero distribuiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
È possibile che vaccini non tracciati da tutti i passi della burocrazia internazionale possano essere venduti senza nessun problema? È quello che si è chiesto anche Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano, durante l’intervista rilasciata a Linkiesta. La visione dei fatti di Fabrizio Pregliasco rimanda ad un livello più terra terra la visione alquanto preoccupante presentata dal pezzo de L’Espresso, sottolineando anche come il trasporto con il quale vennero recapitati i virus a casa di candoli sebbene fosse si illegale non potesse essere il responsabile della diffusione dell’influenza dato che «neanche se lo bevi ti infetti. Deve esserci una situazione particolare, come il contatto con mucche o pidocchi».
Ilaria Capua ha ribadito la sua innocenza anche tra le righe del Corriere del Veneto snocciolando il pezzo del settimanale italiano e mettendo in luce i forti dubbi sulla validità delle affermazioni, soprattutto dal punto di vista scientifico.
L’inchiesta del tribunale di Roma è appena agli inizi e ci vorrà ancora tempo per avere delle risposte chiare, date le pesanti accuse che si spingono fino a coinvolgere l’Organizzazione Mondiale della Sanità.