RICERCA – Fino a qualche migliaio di anni fa, in tutti i continenti viveva una moltitudine di specie animali di grosse dimensioni, la cosiddetta megafauna. Per citarne solo alcuni mammiferi, mammut, tigri dai denti a sciabola e rinoceronti lanosi popolavano le fredde terre delle regioni boreali di Eurasia e Nordamerica, megateri e gliptodonti (stretti parenti rispettivamente di bradipi e armadilli) vivevano invece a latitudini più basse del continente americano, mentre l’Australia era dominata da enormi marsupiali, quali il leone marsupiale (Thylacoleo) o il vombato gigante (Diprotodon). E la situazione era simile anche per gli uccelli, dato che Madagascar e Nuova Zelanda erano abitate da specie giganti, quali gli uccelli elefante e i moa. Cosa provocò la loro scomparsa?
La coincidenza temporale dell’arrivo dell’uomo in queste regioni e della concomitante scomparsa della megafauna ha da sempre fatto propendere per la causa umana della loro estinzione: alcune specie furono decimate a causa della caccia indiscriminata a scopo alimentare che subirono direttamente, mentre altre, i carnivori, risentirono fortemente della riduzione delle loro prede sempre ad opera dell’uomo. E non sembra un caso che la maggior parte delle specie animali di grosse dimensioni vivano oggi in Africa, il continente in cui la nostra specie e i suoi antenati si sono originati, coevolvendosi con le altre: solo nel continente africano, infatti, gli animali si sarebbero adattati ad eludere la predazione umana, al contrario degli altri continenti in cui l’uomo non era visto come una minaccia da parte delle altre specie.
Nonostante queste informazioni incontrovertibili, un altro possibile fattore potrebbe aver contribuito in maniera decisiva alla scomparsa di queste specie: il cambiamento delle condizioni climatiche del nostro pianeta. Negli ultimi 100.000 anni, infatti, la Terra è stata interessata dalle imponenti fasi glaciali del Quaternario, che potrebbero aver pesantemente influito sulla sopravvivenza e sulla distribuzione delle specie. Insomma, uomo o clima? Finora gli studi non hanno risposto in maniera esauriente a questo quesito.
Un recente articolo, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, propende decisamente per la prima ipotesi. Lo studio si è concentrato su ben 177 specie di grosse dimensioni (superiori ai 10 kg di peso) estintesi in tutti i continenti nell’arco degli ultimi 132.000 anni, periodo in cui l’uomo si è originato ed ha colonizzato ogni angolo abitabile del pianeta, e ha utilizzato una scala spaziale molto più fine rispetto a tutte le precedenti ricerche che avevano tentato di dirimere la questione. I risultati mostrano in maniera chiara che l’arrivo dell’uomo in tutte le località considerate, a prescindere dalla latitudine e dal bioma prevalente nell’area, coincide con la scomparsa in tempi rapidi della fauna locale di grosse dimensioni. Gli effetti dei cambiamenti del clima sono invece praticamente nulli ovunque ad eccezione dell’Eurasia settentrionale, dove contribuirono, anche se parzialmente, all’estinzione della megafauna.
Fin dalla sua comparsa sulla faccia della Terra, la nostra specie ha dunque pesantemente alterato la composizione della biodiversità mondiale: all’inizio la pressione antropica fu solo sugli animali di grossa taglia in quanto fornivano cibo abbondante, ma poi si è allargato a tutte le altre componenti della biodiversità, che ancora contribuiamo pesantemente a distruggere, causando quella che oggi viene definita come ‘sesta estinzione di massa’. L’impatto della nostra specie sulla biodiversità mondiale non si è infatti minimamente arrestato e, se non modificheremo profondamente le nostre abitudini, è destinato ad aumentare in maniera esponenziale.
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