FUTURO – No, non è il titolo di un film di Corrado Guzzanti, ma un progetto internazionale dell’ESA a cui partecipa anche un gruppo italiano, con l’obiettivo di studiare il comportamento di batteri estremofili in un ambiente extraplanetario come quello marziano e lunare.
È partito la notte del 23 luglio dal cosmodromo di Baikonur con destinazione IIS, il cargo Progress 56 con a bordo due esperimenti italiani selezionati dall’Agenzia Spaziale Europea e finanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana per testare la tenacia di estremofili – microrganismi che sopravvivono e proliferano in condizioni ambientali proibitive per gli esseri umani – al fine di provare la resistenza di questi microrganismi su un ambiente ostile come Marte. Capire insomma se e come potrebbero sopravvivere.
A essere scelti come “cavie” sono i cianobatteri, microrganismi che ricavano energia dalla luce attraverso la fotosintesi, che sono stati spediti all’interno di uno speciale contenitore chiamato Expose-R2, prodotto dall’Agenzia Spaziale Europea e che il presumibilmente il 21 agosto prossimo sarà collocato proprio all’esterno della Stazione Spaziale.
“La ragione per cui questi cianobatteri isolati da deserti caldi e freddi, noti come analoghi ‘terrestri di Marte’ vengono studiati in orbita e non a terra è che a terra è possibile ricreare solo alcune condizioni simili al Pianeta Rosso, testare la reazione ad alcuni stress, ma non al mix speciale di condizioni estreme proprio di Marte” spiega Daniela Billi, responsabile del Laboratorio di Astrobiologia e Biologia Molecolare di Cianobatteri del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata. L’ateneo romano è infatti tra i partner dei due progetti internazionali BOSS (Biofilm Organisms Surfing Space) e BIOMEX (BIOlogy and Mars Experiment), coordinati rispettivamente da Petra Rettberg del DLR di Colonia e da Jean-Pierre de Vera del DLR di Berlino. Alla base del progetto BOSS vi è l’ipotesi che gli estremofili, in forma di biofilm (tra le forme di vita più antiche e tenaci presenti sulla terra), possano tollerare l’ambiente spaziale e marziano simulato, mentre nell’esperimento BIOMEX viene valutata la sopravvivenza di estremofili in presenza di regoliti sintetici che simulano la composizione del suolo mariano e lunare. BIOMEX si inserisce nel contesto di future sperimentazioni da condursi in un luogo più estremo della bassa orbita terrestre come la Luna per testare anche la stabilità di macromolecole biologiche per la ricerca di vita su Marte. Il nostro viaggio verso Marte e la sua colonizzazione parte dalla ISS e prosegue verso la Luna!
Il team romano di cui è a responsabile la Billi studia da anni le basi molecolari e cellulari della tenacia di cianobatteri di ambiente desertico. “Ci sono però altri microrganismi (detti anidrobionti) di cui è interessante studiare il comportamento, come le spore batteriche, resistenti al disseccamento e alle radiazioni, batteri non sporigeni come il Deinococcus radiodurans, licheni e funghi antartici, ma anche piccoli invertebrati, i tartigardi, tutti resistenti al disseccamento e alle radiazioni.” Tuttavia, la ragione per cui il team romano ha scelto proprio i cianobatteri risiede nella loro poli-estremotolleranza: sopravvivono al disseccamento, alle radiazioni ionizzanti e ultraviolette. Inoltre, test in simulazioni spaziali hanno mostrato una loro notevole resistenza al vuoto, prerequisito per essere esposti all’esterno della ISS. “L’unica cosa che non possiamo studiare di questi microrganismi durante la misisone spaziale EXPOSE-R2– prosegue la Billi – è la loro attività metabolica. Sono stati inviati in orbita infatti in forma disseccata, che è l’unico modo affinché sopravvivano al vuoto. Sarà però interessante studiare i geni che verranno espressi al momento in cui questi cianobatteri riportati a terra verranno reidratati; queste informazioni saranno importanti per mettere a punto strategie per la sopravvivenza in condizioni Marziane, che certo dovranno essere attenuate per sostenere la vita come noi la conosciamo, ma non troppo se utilizzeremo organismi estremofili.
Per ora però l’obiettivo dell’esperimento in corso è quello di dimostrare che batteri di questo tipo, abituati ad ambienti estremi, possono tollerare l’ambiente spaziale e marziano simulato e riparare i danni accumulati durane la loro permanenza all’esterno della ISS. “I dati finora raccolti negli esperimenti in condizioni simulate però ci lasciano fiduciosi del fatto che una volta riportati a Terra e reidratati questi cianobatteri abbiano la potenzialità di riaccendere il metabolismo e riparare i danni indotti, compresi quelli al Dna.” conclude la Billi.
Siamo solo all’inizio del percorso dunque, ma se i risultati saranno soddisfacenti, pare che incideranno non poco sulle future missioni spaziali verso il Pianeta Rosso e sullo sviluppo di sistemi biologici a sostegno dell’espolorazione umana dello spazio.
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Crediti immagine: NASA, Wikimedia Commons