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L’élite di scienziati nelle pubblicazioni scientifiche

5623695161_8b6feea9da_bRICERCA – Il numero di pubblicazioni è uno dei più usati metri di giudizio per valutare la carriera scientifica e il prestigio di un ricercatore, ma solo pochi pubblicano con costanza ogni anno. Perché? Un’analisi epidemiologica della Stanford University, pubblicata su Plos One e riportata da Science, ha cercato di capire chi e quanti sono i ricercatori influenti, aprendo una riflessione sulle criticità del sistema di valutazione delle carriere.

Il numero di scienziati sta rapidamento crescendo e soltanto chi colleziona un buon numero di pubblicazioni riesce a conquistarsi un posto: il famoso “publish or perish”. Qualche tempo fa John Ioannidis, medico e professore di Health Research and Policy at Stanford School of Medicine, aveva scritto: “Un gran numero di persone di talento semplicemente non sono sopravvissuti nel sistema attuale e con le risorse attuali limitate, ipotizzando che probabilmente fossero molto pochi gli scienziati veramente in grado di pubblicare articoli con una buona frequenza. Una questione non secondaria visto che, seppur con qualche eccezione, quelli che non ci riescono non hanno molte possibilità di attrarre finanziamenti e ottenere posizioni nell’accademia.

Per meglio comprendere la situazione gli autori dello studio hanno recuperato l’intero database dell’editore scientifico Elsevier e analizzato le pubblicazioni dal 1996 al 2011 di tutti i ricercatori (circa 15 milioni), creando categorie che considerassero vari parametri, come campo di studi e regione. Da queste analisi è emerso un nucleo molto influente di ricercatori, meno dell’1%, che ha un’ininterrotta presenza nella letteratura scientifica, con una pubblicazione ogni anno. E i numeri si abbassano ulteriormente se si considerano i ricercatori con due pubblicazioni l’anno (meno di 70.000) o più (poco più di 3.000 raggiungono le dieci pubblicazioni annue). Questo gruppo ristretto, quasi un élite, compare come autore nel 41% dei circa 26 milioni di articoli raccolti in questi 15 anni. In parte è dovuto proprio al numero degli articoli pubblicati, ma questi ricercatori influenti sono spesso presenti negli articoli più citati (87%), un fenomeno che non è spiegabile semplicemente dall’alto numero di lavori.

Perché in così pochi pubblicano così tanto? Gli autori hanno formulato diverse ipotesi.

Sicuramente possono avere un peso eventi personali come la maternità; a questo proposito la disparità di genere può essere un fattore rilevante nell’abbassare il numero di scienziati con tante pubblicazioni al seguito. Alcuni campi di studi, come le scienze mediche, richiedono un continuo aggiornamento di nozioni e dati ed è più “facile” far uscire nuovi lavori. In altre discipline invece, come le scienze sociali e il settore umanistico, non sono necessariamente richiesti lavori ogni anno, anche per i grandi autori. In generale poi molti ambiti di ricerca, come il campo dell’ecologia e delle dinamiche di popolazione, possono richiedere anni solo per la raccolta di dati, dilazionando nel tempo il numero di potenziali lavori.

Il problema principale, però, sembra essere la difficoltà nel reperire adeguati finanziamenti e strumentazioni adatte.

Proprio questo aspetto pone una questione delicata. Se si ricevono fondi in base al numero di pubblicazioni e il numero di pubblicazioni dipende da quanti fondi sono disponibili, si crea un circolo virtuoso in un alcuni gruppi di ricerca. E come sostiene Erik Stokstad, editore di Science, con tutta probabilità “molti di questi scienziati sono capi dei laboratori. (…) Portano finanziamenti, supervisionano la ricerca e aggiungono i loro nomi ai numerosi lavori che ne derivano”. Parte di questi ricercatori influenti, quindi, hanno il loro nome in moltissimi articoli e trovano nel sistema di valutazione delle carriere scientifiche “publish or perish” il terreno ideale per autoalimentarsi, ad esempio facendo lavori insieme ad altri gruppi prestigiosi e citandosi a vicenda. Un fenomeno complesso, nel quale si inserisce anche la validazione degli stessi lavori scientifici, dove nomi “di fama” possono pesantemente influenzare la decisione di pubblicare o meno un articolo. Quindi, anche nella scienza le conoscenze e le collaborazioni giuste possono determinare, nel bene e nel male, pubblicazioni e soldi.

In questo quadro intricato emerge un ulteriore aspetto che gli autori fanno notare: “In molte discipline ci sono tanti dottorandi iscritti che offrono manodopera a basso costo“. Questi studenti fanno parte di quella moltitudine di scienziati che passano magari anni su una singola ricerca e come rendimento avranno solo uno o pochi documenti pubblicati. In questi casi – continua Ioannidis – il sistema di ricerca sfrutta il lavoro di milioni di giovani scienziati“.

Come se ne esce?

Non esiste una ricetta perfetta, ma l’articolo termina con un suggerimento: diamo più opportunità a un bacino più ampio di scienziati, soprattutto quelli più giovani, per aiutarli ad avere continuità in termini di produttività ed eccellenza.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Sebastien Wiertz, Flickr

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Federico Baglioni
Biotecnologo curioso, musicista e appassionato di divulgazione scientifica. Ho frequentato un Master di giornalismo scientifico a Roma e partecipato come animatore ai vari festival scientifici. Scrivo su testate come LeScienze, Wired e Today, ho fatto parte della redazione di RAI Nautilus e faccio divulgazione scientifica in scuole, Università, musei e attraverso il movimento culturale Italia Unita Per La Scienza, del quale sono fondatore e coordinatore. Mi trovate anche sul blog Ritagli di Scienza, Facebook e Twitter @FedeBaglioni88