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La corona del Sole è più calda della superficie: colpa dei nanobrillamenti

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SCOPERTE – Gli scienziati della NASA hanno raccolto le prove più convincenti di sempre per giustificare come mai l’atmosfera del Sole è molto più calda rispetto alla sua superficie. Le nuove osservazioni su scala molto raffinata di aree con temperature estremamente elevate sono coerenti con una sola delle teorie correnti: quella dei nanobrillamenti (nanoflares). Secondo questa teoria, alla base del calore supplementare della corona solare ci sarebbe una serie di esplosioni locali, nessuna delle quali però può essere rilevata individualmente.

A colpire non è solo il risultato in sé, ma anche il modo in cui sono state eseguite le misure: appena sei minuti di osservazione durante la meno costosa tra le missioni della NASA. Il razzo-sonda della missione EUNIS (Extreme Ultraviolet Normal Incidence Spectrograph) è stato lanciato il 23 aprile dell’anno scorso dal White Sands Missile Range nel Nuovo Messico, con l’obiettivo di monitorare a intervalli di 1,3 secondi le proprietà dei materiali che si trovano nell’atmosfera solare, analizzando un ampio intervallo di temperature.

La superficie visibile del Sole, chiamata fotosfera, si trova a circa 6mila kelvin, mentre la corona raggiunge di solito temperature fino a 300 volte maggiori. Jeffrey W Brosius, uno scienziato spaziale che lavora presso l’università Cattolica di Washington e al centro di volo della NASA a Greenbelt nel Maryland, è il primo autore di un articolo pubblicato lo scorso 1 agosto sulla rivista The Astrophysical Journal.  Come lo stesso Brosius ha raccontato sul sito della NASA, il risultato ottenuto è sorprendente: siamo abituati ad avere materiale più freddo quando ci allontaniamo dalla sorgente di calore, non il contrario. “Se dobbiamo arrostire un marshmallow”, ha spiegato, “ci spostiamo più vicino al fuoco per cucinarlo, non più lontano”.

Fino a oggi sono state formulate molte teorie in grado di proporre un meccanismo che giustificasse come l’energia magnetica che si accumula nella corona solare possa essere convertita in calore e innalzare la temperatura. Ciascuna di queste teorie quantificava la temperatura che il materiale avrebbe dovuto avere, ma non era mai stato possibile discriminare tra le teorie perché non si avevano a disposizione un numero sufficiente di osservazioni per ottenere la risoluzione sufficiente per distinguere tra le diverse previsioni.

Il razzo di EUNIS è stato equipaggiato con uno spettrografo molto sensibile, in grado di raccogliere informazioni sulla quantità di materiale presente a una certa temperatura. Un simile strumento può funzionare correttamente solo nello Spazio, al di sopra dell’atmosfera terrestre, poiché deve analizzare la luce ultravioletta che sarebbe bloccata prima di raggiungere la superficie del nostro pianeta.

Durante la sua missione, EUNIS ha volato a una quota di circa 300 chilometri per appena 15 minuti, raccogliendo i dati per un tempo ancora più breve. La scansione dello spettrografo è stata diretta su una regione predeterminata del Sole, nota per essere particolarmente attiva, da cui spesso hanno origine le espulsioni di materia coronale. Dopo aver separato la luce nelle sue componenti a diverse lunghezze d’onda, è stato possibile ottenere una mappatura della temperatura della superficie solare, oltre che informazioni sui rapidi movimenti del materiale.

In particolare, lo spettrografo è stato sintonizzato in un intervallo di lunghezze d’onda che corrisponde a temperature di circa 10 milioni di kelvin, ossia quelle proprie dei nanobrillamenti. L’ipotesi proposta ora dagli scienziati è che un gran numero di questi nanobrillamenti possano riscaldare localmente il materiale dell’atmosfera solare fino a temperature di 10 milioni di kelvin, e che il successivo raffreddamento faccia scendere la temperatura tra 1 e 3 milioni di kelvin. La conferma della temperatura di 10 milioni di kelvin è arrivata proprio da una delle righe dello spettro prodotto da EUNIS, che secondo gli scienziati fornisce una prova chiara e inequivocabile della presenza di materiale estremamente caldo e quindi dell’esistenza dei nanobrillamenti.

Oltre ad avere un costo inferiore, i razzi-sonda adottati dalla NASA rappresentano un banco di prova importante per le nuove tecnologie in fase di test, che possono essere sperimentate prima di essere introdotte nelle missioni spaziali a lungo termine. Il razzo-sonda, inoltre, consente di recuperare e riutilizzare l’attrezzatura, che ritorna a terra con il paracadute. La missione EUNIS riprenderà la fase di volo nel 2016, quando sono già previsti nuovi lanci che analizzeranno un altro intervallo di lunghezze d’onda della radiazione ultravioletta di origine solare.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Crediti immagine: NASA/SDO

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Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance. Sui social sono @undotti