Paper all’avanguardia: fanno il botto decenni dopo la pubblicazione
È successo anche a Einstein con il paradosso EPR: sono moltissime le pubblicazioni che precorrono i tempi, e impiegano decenni per esplodere ed essere citate a dovere
SCOPERTE – Nel 1935 Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen pubblicavano un importante paper sul noto paradosso EPR (che sta appunto per Einstein-Podolsky-Rosen). Un paper che passò più o meno inosservato fino al 1994, quando fu ampiamente citato in numerose pubblicazioni. Ma ancora prima, per la precisione nel 1901, l’influente statistico Karl Pearson pubblicava un paper su Philosophical Magazine, un paper che sarebbe rimasto a dormire fino al 2002, per poi ricevere un boom di citazioni. Un secolo di ritardo, insomma.
Perché alcune scoperte si guadagnano subito le luci della ribalta, numerose citazioni e una buona dose di notorietà mentre altre rimangono silenti per decenni o più (per poi “esplodere” con conseguenze enormi, vedi il paradosso EPR)? È la domanda che si è posto un gruppo di ricerca della Bloomington School of Informatics and Computing’s Center for Complex Networks and System, curioso di svelare il perché di quei paper che chiamano sleeping beauties, le belle addormentate. Un termine coniato nel 2004 dallo statistico Anthony F.J. van Raan, che iniziando a interessarsi all’argomento aveva però concluso che si trattava di un fenomeno piuttosto raro. Ma a quanto pare non lo è.
Le nuove indagini sono state pubblicate da poco su Proceedings of the National Academy of Sciences, individuando una lunga lista di paper dormienti: i primi 15 (ordinati per l’importanza dei risultati) sono comparsi su riviste scientifiche ben oltre 100 anni fa e molti degli altri sono rimasti silenti per una media di 70.
I ricercatori hanno analizzato 380 000 pubblicazioni dall’archivio dell’American Physical Society e 22,4 milioni da Web of Science, un enorme dataset che ha raccontato loro la storia di paper (dimenticati) di oltre un secolo. “Lo studio fornisce l’evidenza empirica del fatto che un paper può davvero precorrere il suo tempo”, commenta Alessandro Flammini, professore associato di informatica e correspondent author della pubblicazione. “Un argomento ‘prematuro’ potrebbe non riuscire ad attirare l’attenzione persino quando viene presentato da autori che hanno già costruito una reputazione scientifica importante”, un po’ come Einstein (“ripescato” anche di recente).
Un esempio che parla da sé: il secondo paper segnalato dai ricercatori è stato pubblicato nel 1958 ed esplora la preparazione dell’ossido di grafite, che nel corso degli anni sarebbe entrato a far parte dei composti usati per la produzione di grafene. “Un materiale centinaia di volte più resistente dell’acciaio, per questo di enorme interesse per l’industria”, spiega Flammini. E di certo vi siete accorti dell’entusiasmo – piuttosto recente – che ha circondato e circonda il grafene. Certo forse nel 1958 era un po’ troppo presto, mentre nel prossimo decennio sembra ci faremo grandi cose.
Le belle addormentate più significative (pubblicate principalmente su PNAS, Nature e Science) secondo gli scienziati riguardano fisica, chimica, matematica, statistica e scienze multidisciplinari, oltre alla medicina generale e interna. Per calcolare il beauty coefficient, ovvero il periodo in cui i paper sono rimasti “dormienti”, gli scienziati hanno confrontato la storia delle citazioni di ognuno contro una linea di riferimento basata sull’anno di pubblicazione, il numero massimo di citazioni ricevute ogni anno e l’anno in cui il paper ne aveva ricevute di più. Fino ad arrivare al cosiddetto awakening time, ovvero il risveglio della pubblicazione, un cambio repentino rispetto al numero di citazioni ricevute fino a quel momento.
Tra gli aspetti più interessanti c’è il fatto che il balzo da dormienza a numerose citazioni tende spesso a comprendere uno slittamento a una diversa disciplina scientifica, spiegano gli autori del paper. A un certo punto nuovi scienziati – che trovano in un vecchio studio, di un’altra disciplina, elementi interessanti per la loro – citano la pubblicazione e la portano in un campo tutto nuovo facendola rinascere. “Questo riconoscimento tardivo accade su ampia scala e in continuazione, il che è in netto contrasto con i risultati ottenuti da studi passati, che sembravano mostrare le belle addormentate come casi più unici che rari”, conclude Flammini.
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Grafico: Indiana University