APPROFONDIMENTO – “Sì, e adesso dove lo parcheggiamo il lander?”. Questo, in parole spicce, il pensiero che ormai da settimane arrovella gli ingegneri e gli astronomi dell’Agenzia spaziale europea (ESA) impegnati nella missione Rosetta, la prima sonda spaziale della storia a orbitare attorno a una cometa. L’orbiter infatti, dopo un viaggio lungo un decennio, 3 anni di ibernazione all’oscuro del Sole, un risveglio in pompa magna davanti a milioni di persone in attesa del suo primo tweet, giunta alla sua minima distanza dalla cometa prescelta (la 67P/Churyumov-Gerasimenko) non dovrà semplicemente ronzare attorno al suo nucleo (e spiarlo), bensì anche scaricarvi Philae, il suo lander, un robottino di un quintale che tiene raggomitolato nella sua “stiva”.
Il lancio di Philae è previsto per metà novembre, quando Rosetta si troverà a circa 30 chilometri dalla cometa e questa, a 450 milioni di chilometri dal Sole, sarà sufficientemente inattiva da consentire al robot un atterraggio sicuro. E una succulenta raccolta di dati.
Il punto preciso dove farlo atterrare è però ancora una questione aperta, a cui gli scienziati stanno lavorando intensamente dal 6 agosto: da quando cioè Rosetta è entrata in un’orbita abbastanza vicina alla cometa (un centinaio di chilometri) da renderci visibile la conformazione del suo nucleo e la situazione in superficie. Grazie a queste informazioni proprio in questi giorni l’ESA ha potuto selezionare cinque siti possibili per l’atterraggio, uno dei quali, a settembre, si aggiudicherà il titolo di “parcheggio ufficiale”.
Quali sono i requisiti che il terreno per lo sbarco deve rispettare?
Si tratta di fatto di una questione molto delicata, che deve tenere in considerazione sia le capacità tecniche di Rosetta che quelle del lander. E che dovrà prestarsi non solo alle manovre di avvicinamento e di atterraggio, ma essere anche fruibile per Philae, che lì sopra sguinzaglierà tutta la sua dotazione scientifica per analizzare visivamente e chimicamente il territorio.
Le domande con cui gli scienziati stanno interrogando i diversi punti sulla superficie della cometa sono molte: è una posizione ottimale per garantire una comunicazione costante tra Philae e Rosetta? Quanto è rischiosa per il lander la morfologia del terreno in questa zona? Il suolo avrà la consistenza adatta a consentire al robot di arpionarsi senza il rischio di rimbalzare via subito dopo l’impatto? Ci sarà un’illuminazione sufficiente qui per ricaricare le pile del robot grazie all’energia solare? E non sarà forse troppa, col rischio di farlo surriscaldare e mandare a monte la missione?
Le caratteristiche dei cinque siti prescelti
I cinque siti “papabili” potrebbero forse superare tutti questa prima selezione grazie alle numerosissime osservazioni e misure condotte nelle ultime settimane e oggetto di valutazione degli scienziati del Landing Site Selection Group nominato dall’ESA. Tuttavia, nessuno può ancora essere considerato quello ideale poiché ognuno di essi presenta caratteristiche singolari ed è particolarmente difficile comprendere in anticipo quale ci riserverà le scoperte più interessanti.
Ma come sono fatti questi siti? Più che punti specifici, si tratta per ora di cinque ellissi – corrispondenti a una superficie di circa un chilometro quadrato – disegnate sulla mappa del nucleo cometario. Si chiamano A, B, C, I e J, e mentre due di essi (A e C) sono localizzati sul corpo, cioè il lobo più massiccio del nucleo della cometa, due (B, I e J) si trovano sulla sua testa, la porzione più piccola.
Il primo, A, è una località che consente una buona panoramica del lobo dove è situata sia dell’altro. Sembra che da qui Philae potrebbe registrare fenomeni di fuoriuscite di gas dal terreno tra i due lobi, ma non è ancora chiaro se si tratti di un’area sicura per la permanenza di un robot. B è invece una distesa pianeggiante dentro a un’ampia cavità (simile a un cratere) dove il lander riuscirebbe probabilmente a compiere agilmente le manovre di atterraggio da Rosetta, ma che forse non garantirebbe la luminosità necessaria per portare a termine tutte le operazioni. Il sito C sta suscitando molta curiosità in quanto ricco di formazioni interessanti (rocce, alture, depressioni, materiali differenti) ma allo stesso tempo desta preoccupazione sui margini di sicurezza. Il dubbio rimane anche per I e J, siti molto simili, piuttosto pianeggianti ed esposti alla luce, ma sulle quali senza ulteriore analisi ad alta risoluzione si nutre ancora qualche perplessità.
“Man mano che ci avviciniamo alla cometa, visualizziamo un numero sempre maggiore di dettagli, i quali influenzeranno inevitabilmente la scelta finale” fa sapere il manager della missione, Fred Jansen. I dati verranno progressivamente integrati, ma la graduatoria sarà resa nota solo alla fine: si tratterà dunque di una sfida aperta fino all’ultimo minuto.
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Crediti immagini: ESA/ATG medialab e ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA