WHAAAT?

Ecco perché non trovavano Nemo

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WHAAAT? Il venerdì casual della scienza – Secondo un nuovo studio, è probabile che Nemo a “P Sherman, 42 Wallaby Way, Sydney” ci potesse arrivare con facilità. Anzi, che sia estremamente comune, per i piccoli pesci pagliacci, intraprendere viaggi di centinaia di chilometri attraverso l’oceano aperto. Per poi trascorrere un’intera esistenza protetti dai tentacoli di un anemone.

Per la prima volta un gruppo di ricercatori internazionali, guidati da Steve Simpson della University of Exter, ha osservato l’alto tasso di scambio che si verifica tra la prole di diverse popolazioni, anche molto distanti le une dalle altre. Il 6% dei pesci osservati dagli scienziati, della specie Amphiprion omanensis, ha infatti migrato per oltre 400 chilometri. Se vi è venuto il mente il film “Alla ricerca di Nemo” siete nel giusto, c’è solo una piccola differenza: il viaggio avviene quando gli individui si trovano ancora nello stadio larvale, e si conclude quando finalmente trovano un corallo di loro gradimento.

Come spiega Simpson, leader dello studio pubblicato su PLoS ONE, “si tratta di un’avventura epica per questi pesci, che sono al mondo da meno di una settimana. Quando arrivano sulla barriera sono più corti di un centimetro, hanno pochi giorni di vita, e per viaggiare per centinaia di chilometri devono sfruttare le correnti oceaniche. In modo che li aiutino nella loro migrazione”. I pesci pagliaccio osservati dai ricercatori provenivano tutti dall’area meridionale dell’Oman, dove nel giro di 192 immersioni ne sono stati catturati circa 400; prelevato un piccolissimo campione da una pinna, per le analisi del DNA, venivano subito rilasciati. “La costa a sud è relativamente isolata rispetto al resto della penisola arabica, perciò è possibile trovarvi molte specie che non si vedono in nessun altro luogo al mondo. Ci sono solamente due barriere coralline lungo la costa, separate da 400 chilometri di spiagge. Per poter sopravvivere come specie, questi pesci pagliaccio ogni tanto devono migrare tra una popolazione e l’altra”.

Grazie alla tecnica di DNA fingerprinting i ricercatori hanno potuto identificare i diversi pesci pagliaccio migranti, scoprendo subito quali erano gli individui che si erano spostati da una popolazione all’altra. “Proprio come gli accenti che ci permettono di distinguere un inglese da un americano, le popolazioni di pesci separate sviluppano una propria firma genetica”, spiega Hugo Harrison, uno dei co-autori dello studio. “Osservando la firma di ciascun pesce siamo in grado di dire dove sia nato. È come sentire un inglese a New York, li si nota subito”. I dati emersi dal DNA hanno confermato agli scienziati che un gran numero di pesci pagliaccio si era spostato da nord a sud; per scoprire se la direzione fosse data dalle correnti oceaniche, il team di Simpson ha elaborato un modello oceanografico per la regione.

“Abbiamo scoperto che lo schema della migrazione corrispondeva alle principali correnti oceaniche, legate al monsone invernale”, spiega Michael Claereboudt della Sultan Qaboos University, uno dei co-autori dello studio. Proprio come per i singoli individui migranti, le analisi della seconda generazione (di entrambe le popolazioni) hanno confermato che i pesci pagliaccio delle due barriere coralline si erano riprodotti tra loro, dopo aver affrontato il lungo viaggio che li separava. Aumentando le nostre conoscenze sui modelli di dispersione dei pesci, e su come le popolazioni riescano a mantenersi connesse, saremo in grado di proteggere quelle più sensibili; inoltre sarà più facile stabilire reti di collegamento tra le varie riserve marine. Insomma, se non altro abbiamo finalmente capito perché trovare Nemo sia stata un’impresa tanto ardua.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Eleonora Degano

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".