ESTERI – Se non agiamo subito, l’epidemia di Ebola rischia di diventare una nuova AIDS. Questa l’opinione di Thomas Frieden, direttore dei Centers for Disease Control and Prevention, organismo statunitense per il monitoraggio della sanità pubblica. Mentre l’appello da parte degli esperti e soprattutto del personale medico coinvolto in loco continua a essere lo stesso, ovvero la richiesta urgente di personale esperto e adeguatamente formato, i numeri di Ebola continuano a salire. E i medici a essere troppo pochi. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riportano, all’8 ottobre, 8.033 malati tra probabili, sospetti e confermati, con 3.877 decessi. Secondo gli esperti il numero potrebbe essere anche molto maggiore, se consideriamo il gran numero di casi che fin dall’inizio sono stati tenuti nascosti dalle famiglie africane a causa della stigmatizzazione e della paura che circondano Ebola. Il tasso di mortalità, nei paesi dell’Africa occidentale, è del 46%.
Sul fronte italiano, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ancora rassicura: la probabilità che tra i migranti che arrivano in Italia ci siano persone affette da Ebola è molto bassa. Nel frattempo dal Texas è arrivata la notizia della morte di Thomas Eric Duncan, il liberiano tenuto sotto osservazione da mesi, primo caso accertato del virus negli Stati Uniti. Ne ha parlato la CNN in un’interessante analisi, esplorando sette motivazioni per le quali il suo caso medico sarebbe stato estremamente diverso dagli altri, anche per la qualità delle cure ricevute. “Basta parole, è il momento di passare ai fatti”, ha commentato dopo il decesso John Kerry, il segretario di stato. “Onestamente, non abbiamo davvero tempo da perdere”. E così sarà: nel week end negli aeroporti statunitensi inizieranno i controlli per tutti i viaggiatori imbarcatisi nei paesi a rischio, con particolare attenzione a Guinea, Sierra Leone e Liberia. Non è da escludersi tuttavia che vengano estesi anche agli arrivi da altri paesi africani. Intanto, a Dallas, un nuovo caso è al momento al centro dell’attenzione medica e di controlli specifici: un paziente che ha richiesto di sottoporsi ai test dopo essere entrato a contatto (pare non diretto) con Duncan.
Ebola ed Europa
Nell’Unione Europea, al contrario, non è ancora stata presa una decisione definitiva o adottato un vero e proprio protocollo. Ma potrebbe essere imminente. La prossima settimana, ha spiegato il commissario Ue alla salute Tonio Borg, si discuterà di possibili test di controllo da effettuare negli aeroporti sui passeggeri in arrivo. Tra sospetti, falsi allarmi e smentite, in un momento di preoccupazione condivisa, da un paio di giorni vengono segnalati svariati potenziali casi di contagio tra Francia, Germania e Macedonia. Intanto in Spagna le persone ricoverate sono ora sette, compresa l’infermiera Teresa Romero che ha contratto il virus dopo aver assistito i due religiosi spagnoli contagiati in Africa e morti, rispettivamente, il 12 agosto e il 25 settembre. Entrambi i missionari, secondo il personale sanitario, sono venuti a contatto con almeno una cinquantina di persone. Grande rumore mediatico è scaturito poi dalla vicenda del cane di Romero, Excalibur, che per volere delle autorità è stato soppresso pochi giorni fa per evitare potenziali rischi di contagio. Le manifestazioni per opporsi alla decisione sono state piuttosto intense.
Le condizioni di Romero, unico caso accertato finora, stanno intanto peggiorando. Lo ha confermato Yolanda Fuentes, vicedirettrice generale dell’ospedale madrileno Carlos III-La Paz, aggiungendo poi che per espresso desiderio della paziente non saranno diffuse altre notizie in merito al suo stato di salute. I risultati dei test condotti sugli ultimi pazienti tenuti sotto osservazione non sono ancora disponibili, mentre durante la settimana già due persone sono state dimesse per esiti negativi dei controlli medici. L’infermiera Romero è stata ospedalizzata solamente il 6 ottobre, ma i primi sintomi risalgono al 29 settembre; lo stesso ricovero è passato sotto i riflettori dei media, e a ragione. L’ambulanza sulla quale è stata trasportata non era adeguatamente attrezzata per il trasporto di un paziente contagiato da Ebola, riporta ANSA, e senza un’opportuna disinfezione ha continuato a lavorare per altre 12 ore. La denuncia è arrivata poco dopo l’ospedalizzazione dal conducente del mezzo e dal barelliere, la cui dichiarazione è stata diffusa subito dal quotidiano spagnolo El Pais.
Gestione dell’emergenza
Intanto la preoccupazione a Madrid cresce, come testimonia un’intervista del The Guardian a Elena Felican, occupata all’interno dell’ospedale Carlos III con le pressioni di una famiglia che ogni giorno, dall’inizio dell’allarme Ebola spagnolo, cerca di convincerla a non recarsi al lavoro. “Potrebbe essere andata in giro per il quartiere con l’Ebola per giorni”, spiega Felican al Guardian. parlando di Romero. “È andata al supermercato? In palestra? Non sappiamo nulla”. L’edificio dell’ospedale, raccontano quei pochi che vi si recano per impegni lavorativi o per accompagnare familiari alle visite, è quasi vuoto. Finora la principale rassicurazione data in ambito europeo era che, anche se Ebola fosse arrivata da noi, la differenza abissale tra i mezzi del nostro sistema sanitario e quello dei paesi africani colpiti avrebbe permesso di circoscrivere il contagio senza problemi.
Non sembrano attualmente d’accordo alcune associazioni spagnole che rappresentano i professionisti in ambito sanitario, i quali descrivono la situazione come ben più precaria. Il sistema sanitario locale si sta ancora riprendendo dai tagli, spiegano al The Guardian, ed è drasticamente poco finanziato per poter far fronte alla sfida di Ebola, mentre il ministero della Salute spagnolo elabora un piano d’azione sanitario quasi “al volo”. Dall’ospedale Carlos III-La Paz, davanti al quale alcuni operatori sanitari di recente hanno manifestato contro i tagli e per chiedere le dimissioni del ministro della Sanità, arriva invece un messaggio diverso. “Vogliamo tranquillizzare la società”, ha detto Perez-Santamarina, il direttore. “È una cosa che ci ha colto di sorpresa. Ma ora stiamo rivedendo tutti i protocolli di prevenzione, perché non torni a ripetersi”.
Di sorpresa
Riguardando le dichiarazioni degli esperti rilasciate all’inizio dell’epidemia africana, diventa subito chiaro come una serie di elementi non previsti – la mancanza di personale preparato in loco, l’inadeguatezza del servizio sanitario specialmente in Sierra Leone, la stigmatizzazione della malattia e via dicendo – abbiano fatto prendere alla situazione una piega imprevista. Prendendo appunto “di sorpresa” ospedali come quello spagnolo, e richiedendo un enorme impiego di forze nei paesi africani (tra le organizzazioni impegnate dall’inizio Medici Senza Frontiere ed Emergency). “L’epidemia non rappresenta un allarme per l’Europa”, diceva a fine marzo, quando eravamo appena agli inizi, Giovanni Rezza del Dipartimento Malattie infettive, parassitarie e immuno-mediate dell’Istituto Superiore di Sanità. “Le epidemie da virus Ebola sono periodiche in Africa, soprattutto nei paesi dell’Africa equatoriale. Questo però non è un elemento di preoccupazione per l’Europa perché, almeno finora, le epidemie sono state sempre contenute e circoscritte in loco, dove invece gli interventi andrebbero potenziati dato l’alto tasso di mortalità legato a questo virus”.
Una previsione ponderata, ma che in questa epidemia (definita da subito molto diversa da tutte le precedenti) si scontra con svariate problematiche nel caso per esempio della Sierra Leone. Dove, mentre Ebola imperversa, non va dimenticato che ci sono ancora la malaria e le malattie legate alla stagione delle piogge: sono numerosissimi i casi di disidratazione, diarrea, infezioni delle vie respiratorie specialmente nei bambini. In altri paesi africani il personale medico sarebbe stato più preparato, secondo gli esperti di Emergency che lavorano nell’unico centro chirurgico operativo della Sierra Leone, e contenere l’epidemia sarebbe stato possibile nell’arco di un mese o poco più. Con un focolaio come quello della SR, dove dall’uscita della guerra civile 15 anni fa nulla si è investito nel sistema sanitario, l’emergenza assume un tono del tutto diverso. Ed è per questo che, come ribadiscono da un bel po’ le autorità, la priorità è intervenire sui paesi africani colpiti con tutti gli aiuti possibili, e personale sanitario formato adeguatamente.
Per gli aggiornamenti sui casi di Ebola e i decessi, è possibile consultare la mappa di Healthmap.
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