Tette per la Scienza, funziona?
C'è a chi piace e c'è chi la trova un'iniziativa avvilente. Forse il dibattito dovrebbe spostarsi su un panorama più ampio, quello della comunicazione
COSTUME E SOCIETÀ – Anche se di scienza non ve ne frega niente, negli ultimi giorni forse avete imparato che l’età dell’Universo è di 13,82 miliardi di anni. O che il Voyager Golden Record è un disco d’oro per grammofono, installato nelle due sonde spaziali del Programma Voyager, iniziato nel 1977. E l’avete scoperto non per un’improvvisa folgorazione che vi ha appassionati alla divulgazione scientifica, bensì perché stava scritto su un paio di tette, o meglio su un cartello davanti a un paio di tette. Eravate sul nuovo blog Tumblr di Tette per la scienza. Che è il motivo per cui, per comodità, continueremo a chiamarle tette.
Chi sono?
Se nonostante l’entusiasmo mediatico che ha circondato il progetto siete riusciti a non sentirne parlare, o semplicemente viste le tette non avete letto il cartello, ve lo riassumiamo brevemente: la mente dietro al blog è Lara, 30 anni, paleoantropologa appassionata di scienza, comunicazione e marketing. Insieme a un gruppo di amiche che sostengono il suo progetto raccoglie foto di generosi décolleté accompagnate da cartelli forieri di concetti scientifici. Che si tratti di vaccini e autismo, di OGM, di gluten-free, la missione finale è una: veicolare contenuti utili attirando l’attenzione dei lettori.
Le domande sono tante. Ne avevamo davvero bisogno – non tanto noi, quanto la divulgazione scientifica? Funziona? Durerà? Non sarà un metodo deleterio e svilente per la comunicazione tradizionale? Secondo Lara, con cui abbiamo fatto una chiacchierata, per servire serviva. “Credo che la divulgazione nel nostro paese sia ottima: molti professionisti che fanno bene il loro lavoro e che rispetto e ammiro. È la situazione dell’Italia in sé che ne limita l’efficacia, il problema è fuori dalla divulgazione, non dentro. A livello culturale e politico gli intellettuali tutti e in particolare le persone di scienza agiscono come se fossero in una specie di bolla. La divulgazione non può e non deve ricorrere a espedienti, perché significherebbe sacrificare la propria natura: per questo servono dei cross-over come Tette per la Scienza, perché sfondino la bolla”.
Bolle e torri d’avorio
Il punto, insomma, è nuovamente la famosa “torre d’avorio” degli scienziati, quell’espressione che usiamo talmente tanto da averla quasi consumata? In parte secondo Lara sì. “L’obiettivo è veicolare concetti utili in modo rapido ed efficace, con un pizzico di goliardia. Per come avevo concepito il progetto questo è il massimo a cui ambisco. Poi se il fenomeno dovesse crescere ancora cercheremo un modo per rinnovare la formula e offrire la visibilità per cause più concrete. Ad esempio pensavamo di supportare qualche raccolta fondi per la ricerca”. La stessa Lara non si aspettava i numeri che Tette per la Scienza ha ottenuto finora, l’effetto shock non era nelle sue intenzioni, dice. E il Tumblr come potete vedere da voi sta andando piuttosto bene. “Non siamo mica le Femen! Si tratta non di una provocazione ma di un’associazione originale, non forzata né pretestuosa e in quanto tale efficace”.
Ma è efficace davvero? L’idea dell’autrice è che l’iniziativa stia andando a toccare dei nervi scoperti, perché è diventato palese che il pubblico va stimolato “con cose che non si aspetta, in questo caso con foto che sono soft per scelta”. Sempre ammesso che davvero nel 2014 vi sorprendiate quando su internet incontrate un corpo nudo o semi-nudo, volevamo capire se davvero ancora questo possa rappresentare un mezzo efficace per veicolare informazioni. Non tanto entro quel pubblico che di scienza già legge, ma in direzione di chi ha bisogno di spunti differenti. Quello che di solito “cambia canale”. O forse avremmo solo dovuto ignorare la cosa, ma non è mai male fermarsi a ragionare su quali siano i limiti della divulgazione odierna. Limiti che, a quanto pare, a qualcuno sembrano richiedere strategie più “goliardiche”.
Come anche viene da chiedersi (una volta terminato di osservare seni nudi) se sia sensato farlo, al di là di possibili ideologie da tastiera e non o della mercificazione del corpo femminile: le foto di Tette per la Scienza sono fornite volontariamente da ragazze che la trovano un’idea intelligente, ponendo l’iniziativa stessa in un limbo tra quella parte di web che se ne entusiasma e quella che invece la trova avvilente, tra foto rubate al ministro Madia e una nomina al Cern di cui andare fieri. Oltre al fatto che sarebbe ingenuo dire che si tratta di una strategia davvero trasgressiva. Anche dopo che un’iniziativa – non diciamo simile ma ascrivibile allo stesso grande insieme rosa – come il video Science! It’s a girl thing, aveva scatenato non poche polemiche. Ma in quel caso era anche un video oggettivamente brutto e pieno di stereotipi. Se volete approfondire la questione leggete cosa ne pensavano al Guardian.
Un nuovo grande pubblico per tette+scienza?
Dell’utilità e dell’approccio comunicativo di Tette con la Scienza abbiamo parlato con Mariangela (Galatea) Vaglio, insegnante, giornalista e blogger. “Da ‘vecchia’ del web mi ricorda molto certi post in cui X (maschio) postava una foto di tette più o meno coperte e poi candidamente chiedeva ‘qualcuno mi sa dire se domani c’è lo sciopero dei treni?’. Comunicativamente direi che gioca sul doppio binario: attiriamo gente con il nudo per parlare di scienza e infrangiamo l’idea moralistica che la scienza è seriosa e non deve avere a che fare con il sesso”, dice Vaglio. “Inoltre punta alla confutazione dello stereotipo che le donne, specie se belle, non hanno niente a che spartire con scienza e intelligenza”.
Stereotipo che speravamo d’aver già superato comunque. Insomma dal punto di vista comunicativo l’idea c’è? “È partita da buone premesse, usare la trasgressione per la divulgazione, però mi sembra che un po’ si areni. Ci sarebbe da ragionare sul perché in Italia questo tipo di comunicazione funzioni. Mi sa che si tratta più del lato morboso che di quello davvero trasgressivo: sono le tette e si guardano come tali, l’idea che dietro ci siano donne pensanti resta un po’ nell’ombra mi pare”. Già. Perché in Italia funziona, in un momento storico in cui foto di nudi e relativi video sono a portata di clic? Si tratta davvero dell’abbinamento con il messaggio intelligente?
Come fu per i geniali Gattini per Civati, possiamo pensare che le Tette per la Scienza tocchino la curiosità di persone che, finora, un link con termini scientifici non l’avrebbero cliccato mai. Ora che il link ha anche le tette, lo si apre di più? “Ma magari bastassero un paio di tette per far appassionare il pubblico alla scienza!”, commenta Vaglio. “Non ho dati, ma temo che il pubblico di questa nuova iniziativa sia lo stesso che già leggeva articoli scientifici e nutre un minimo di simpatia per l’argomento. Gli altri vedono un paio di tette e non capiscono la connessione, oppure non vedono il post correlato”.
Collateral damage
E c’è pure l’effetto collaterale, che fa un po’ cadere il palco. “Ho notato su Tumblr che una delle prime estranee a farsi avanti in un post legato alla foto è stata un’attivista anti sperimentazione animale, che ha cercato di fare propaganda”, spiega Vaglio. Il guaio è questo: che le tette possono essere usate per veicolare qualsiasi contenuto, quindi il rischio è che fioriscano siti di tette per le scie chimiche, per la teoria del signoraggio e così via. Se poi compare una foto nuda con sopra una tua citazione, penseranno che la modella sia tu”. Una circostanza che si è già verificata, seguita dalla modifica del post.
Concludendo: a chi si occupa di comunicazione scientifica, le Tette per la Scienza piacciono? Questo l’abbiamo chiesto a Lara. “La quasi totalità dei ricercatori e dei divulgatori con cui ho parlato si è dimostrata entusiasta, alcuni feedback negativi sono arrivati solo da parte di chi probabilmente lo vede come sminuire la divulgazione vera e propria. Ribadisco che ammiro e rispetto moltissimo il lavoro dei professionisti e che la mia iniziativa è una cosa del tutto diversa, su un altro piano, con un altro scopo. Comunque sono arrivati davvero tanti complimenti, soprattutto dai divulgatori più giovani”.
Questo non lo mettiamo in dubbio e ora passiamo la palla a voi. Questo tipo di strategie funzionano? Sono sensate o sminuiscono la comunicazione scientifica “classica”?
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Crediti immagine: martin, Flickr