Come stanno i dottori di ricerca?
Una misura delle possibilità che si aprono dopo il dottorato di ricerca
ATTUALITÀ – Sono 30 candeline quelle spente dalla grande famiglia che comprende tutti coloro che hanno conseguito un dottorato di ricerca. Quest’anno infatti è stato inaugurato il trentesimo ciclo di questo percorso di formazione, a cui è possibile accedere dopo una laurea di secondo livello.
L’amore per lo studio o la speranza di una carriera accademica possono spingere a proseguire il proprio percorso di studi. Ma a lungo andare quanto conviene fare un dottorato di ricerca? Quali difficoltà potrebbero presentarsi in futuro?
È stata pubblicata da poco l’indagine Istat riguardante il grado di occupazione di coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca nel 2008 o nel 2010. Il quadro generale non è negativo, sebbene il valore registrato durante questa seconda analisi sia in leggera diminuzione rispetto all’edizione precedente. A quattro anni dal conseguimento del titolo (2010), lavora il 91,5% dei dottori di ricerca mentre è in cerca di un lavoro il 7%. A sei anni dal conseguimento del titolo (2008) lavora una percentuale leggermente superiore, il 93,3% e cerca un lavoro il 5,4%.
Il dato riportato esprime solo una media: non tutti i dottorati pagano allo stesso modo in termini di sicurezza di lavoro post-titolo. I dottori delle Scienze matematiche e informatiche e dell’Ingegneria industriale e dell’informazione sono quelli più facilmente impegnati in un’attività lavorativa. Infatti il numero degli occupati in questo settore sale a oltre il 97% a sei anni dal dottorato e oltre il 95% a quattro anni. Nel caso dei dottori delle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche la media di quelli che lavorano si abbassa intorno all’88%.
Ma quanto è attinente il lavoro post-dottorato con quanto studiato fino a quel momento? Spesso chi decide di proseguire gli studi intraprendendo la strada del dottorato, fatica a lasciare il mondo della ricerca di cui è innamorato. La sensazione che si respira lungo i corridoi degli atenei è confermata anche dai dati: il 73,4% dei dottori occupati del 2008 e il 74,4% di quelli del 2010 continuano a svolgere anche ora attività di ricerca e sviluppo.
La cosa tuttavia riguarda soprattutto il sesso maschile: infatti ben 3 donne su 10 hanno dovuto cambiare strada e sono impegnate in attività lavorative per nulla connesse alla ricerca. E questo si ripercuote anche nel grado di soddisfazione: le donne manifestano livelli di soddisfazione inferiori rispetto agli uomini sia per quanto riguarda il grado di autonomia sia per le mansioni svolte, ma anche per le prospettive di carriera o di sicurezza del lavoro.
Su quest’ultimo punto però l’incertezza sale anche tra gli uomini. Circa la metà dei PhD occupati infatti ha un lavoro a tempo determinato. A sei anni dal conseguimento del titolo, la quota di occupati con un lavoro a termine è pari al 43,7%, mentre raggiunge il 53,1% tra i dottori osservati a quattro anni. Se non sembra una percentuale così alta, basti dire che il dato è già in crescita rispetto all’indagine precedente, quando era del 35,1% e del 43,7%.
A questo si aggiunga che lo sbocco più naturale per il dottorato di ricerca, ossia la carriera accademica, diventerà sempre più un miraggio.
Infatti la sensazione di instabilità percepita da chi lavora nell’ambito della ricerca, trova conferma anche negli scenari aperti dalla nuova Legge di Stabilità 2015. Al comma 347 dell’articolo 1, si stabilisce di fatto che possa essere assunto un solo ricercatore di tipo b ogni due professori ordinari, contro la proposta precedente che prevedeva un rapporto di 1 a 1. Nel comma successivo, il 348, lo stato mette a disposizione cinque milioni di euro da spartire per il triennio 2015, 2016 e 2017, troppo pochi per assicurare l’assunzione di una buona parte di giovani che stanno frequentando il dottorato all’interno dell’ambito accademico.
Malgrado tutte le incertezze il dottorato resta però una possibilità da non lasciarsi scappare. Infatti quelli che hanno l’opportunità di intraprendere questo percorso saranno sempre meno. Dal 2007 ad oggi la riduzione dei posti di dottorato banditi in meno a livello nazionale è di oltre 6.600 unità. Un numero che dice a chi è entrato nel percorso il valore di quello che ha guadagnato, ma che lascia agli altri la riflessione su quanto l’Italia stia puntando al ribasso in tema di alta formazione.
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