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Il cancro al pancreas si fa in quattro, ma fa meno paura

Pubblicati su Nature i risultati di uno studio sulle alterazioni genetiche del cancro al pancreas, che aprono la strada a nuovi sviluppi diagnostici

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RICERCA – l cancro al pancreas come unicum non esiste più, da oggi dovremo cominciare a parlare di tumori al pancreas, al plurale. Sono quattro infatti le tipologie di cancro del pancreas individuate da uno studio pubblicato ieri su Nature, cui ha partecipato il gruppo di ricercatori italiani guidati da Aldo Scarpa, anatomopatologo dell’Università di Verona, in collaborazione con la biobanca del centro, l’Istituto del pancreas, l’Oncologia universitaria e con l’Unità di diagnostica molecolare dei tumori dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona.
Una pluralità questa, che non deve fare ancora più paura, ma che rappresenta invece un passo in avanti significativo per la diagnosi di questo tumore, che ha oggi una sopravvivenza a cinque anni del 5%, la più bassa fra tutti i tumori più conosciuti.

“Bisogna fare attenzione, qui non si parla di diagnosi precoce, per la quale ahimè bisognerà lavorare ancora molto – racconta a Oggiscienza Aldo Scarpa – ma della possibilità di capire esattamente di quale tipo di cancro al pancreas soffre il paziente, in modo da mettere a punto una terapia più mirata, al di là della creazione o meno di nuovi farmaci.” Il punto centrale infatti non è la possibilità di inventare nuovi farmaci a partire da questa nuova scoperta, quanto capire come utilizzare in maniera efficace i farmaci classici già in uso, a seconda del malato che si ha davanti. “Certo, nuovi farmaci saranno i benvenuti, ma qui la cosa importante è classificare subito il paziente in base alla categoria del suo tumore, intesa come sottogruppo molecolare, e proporgli subito il farmaco esistente più adatto a lui” prosegue Scarpa. “Ci siamo resi conto infatti che non tutti i pazienti reagivano al medesimo farmaco allo stesso modo, anzi spesso le reazioni erano molto diverse fra loro e non ci spiegavamo il motivo. Per questa ragione da anni abbiamo intrapreso questo studio in collaborazione con il Consorzio del genoma per riuscire a individuare la base genetica di queste variazioni.”
La scoperta è avvenuta grazie al sequenziamento dell’intero genoma dei primi 100 adenocarcinomi del pancreas. Quello che il team veronese ha oggi chiaro è che le analisi molecolari per distinguere questi quattro gruppi sono già disponibili e saranno introdotte nella routine diagnostica dei pazienti trattati nell’Istituto del pancreas e nell’Oncologia universitaria entro la fine del 2015.

“Il messaggio di questa nostra ricerca, quello che vorremmo che passasse anche al grande pubblico che non sa nulla di sottogruppi molecolari e di sequenziamento di DNA, è che qui c’è una buona notizia, per quanto preliminare” conclude Scarpa. “Per usare una metafora, è come se avessimo aperto uno spiraglio dove prima avevamo un muro nel trattamento di questo tumore, un po’ come la breccia di Porta Pia”. Ricordiamo infatti che mediamente si riescono a operare solo 2 pazienti su 10 mentre per gli altri 8 è sempre troppo tardi. “Insomma, per quanto la strada per migliorare la sopravvivenza dei pazienti sia decisamente in salita, da oggi mi pare lecito dire che per il futuro il cancro al pancreas può cominciare a fare un po’ meno paura.”

Infine, vale la pena sottolineare che questo lavoro è stato realizzato interamente grazie a fondi pubblici: dai finanziamenti del Miur nell’ambito del progetto di sequenziamento genoma tumori del pancreas, dall’Airc con il progetto 5×1000 “Diagnosi precoce del cancro del pancreas” e dalla Fondazione italiana malattie del pancreas (Fimp-onlus) nell’ambito delle ricerche sulla “Trasformazione delle informazioni del genoma in applicazioni diagnostiche e cliniche” finanziato dal Ministero della Salute.

@CristinaDaRold

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Greenflames09, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.