Pericolo Ureaplasma per i pazienti trapiantati
I farmaci anti-rigetto abbassano le difese immunitarie, così diventiamo più vulnerabili ai batteri. E le complicazioni possono essere fatali
SCOPERTE – Le infezioni sono una delle principali cause di malattia e mortalità nei pazienti sottoposti a trapianto d’organo. Tra di esse, le infezioni batteriche rappresentano circa la metà di tutte le complicanze infettive.
Tra tutti i tipi di trapianto, i pazienti più predisposti a infezioni sono quelli che hanno subito un trapianto di polmoni. I batteri coinvolti sono molteplici, i più comuni appartengono alle famiglie degli enterobatteri e delle pseudomonas.
Secondo uno studio pubblicato su Science Translational Medicine, tra i microorganismi pericolosi per i pazienti trapiantati c’è anche l’Ureaplasma, batterio che normalmente colonizza il tratto urogenitale del corpo umano. L’Ureaplasma appartiene alla famiglia dei micoplasmi, i più piccoli microorganismi capaci di vita autonoma e gli unici batteri a essere privi di parete cellulare. Il nome deriva proprio dal fatto che questi batteri producono un enzima (l’ureasi) in grado di metabolizzare l’urea e portare alla formazione di ammoniaca. Normalmente l’ammoniaca viene poi espulsa dal corpo attraverso l’urina o riconvertita in urea. In caso di infezione sistemica da Ureaplasma, l’ammoniaca si può accumulare fino a causare una vera e propria sindrome da iperammoniemia.
“L’iperammoniemia è una complicazione spesso fatale in pazienti immunosoppressi, come coloro che hanno appena subito un trapianto di polmone o di altri organi solidi”, scrive Ankit Bharat, autore del lavoro e ricercatore presso la Northwestern University di Chicago. “Purtroppo, la sua bassa frequenza ha finora ostacolato qualsiasi studio sistematico sulle sue cause e ha escluso ricerche randomizzati su potenziali terapie”.
Dopo un trapianto, ai pazienti vengono generalmente somministrati farmaci che sopprimono il sistema immunitario del corpo, per evitare il rigetto dei nuovi organi.
Dato che il sistema immunitario viene indebolito, i pazienti vanno incontro a un aumentato rischio di infezioni. Un’infezione da Ureaplasma è difficile da diagnosticare perché questi microorganismi non crescono nelle colture che normalmente gli ospedali usano per identificare i responsabili delle infezioni batteriche. Bharat e colleghi hanno perciò messo a punto un sistema diverso, che si basa sull’analisi del sangue e di tessuti (polmoni, fegato, vescica e milza) attraverso una tecnica ampiamente utilizzata in biologia molecolare chiamata PCR (Polymerase Chain Reaction).
Il loro studio è partito da un paziente che in seguito a un trapianto di polmone dopo 7 giorni ha iniziato a manifestare dei cambiamenti nello stato mentale. Le analisi effettuate però non evidenziavano nessun danno a livello cerebrale mentre nel sangue si riscontrava una concentrazione di ammoniaca ben sopra la norma. Il gruppo di Bharat ha studiato altri tre soggetti morti per iperammoniemia in seguito a trapianto e ha confrontato i risultati ottenuti con un gruppo di controllo la cui concentrazione di ammoniaca nel sangue era a livelli normali.
“In tutti e quattro i pazienti studiati abbiamo trovato evidenze di un’infezione a livello sistemico di U. urealyticum o U. parvum”, commenta Bharat. “Pensiamo che siano proprio questi microorganismi a scatenare l’aumento di ammoniaca nel sangue. E consigliamo a tutti i pazienti con iperammoniemia che hanno subito un trapianto polmonare di effettuare test per l’infezione da U. urealyticum”.
In futuro gli autori intendono continuare le loro ricerche coinvolgendo anche pazienti che hanno subito trapianti diversi da quello polmonare, come per esempio quello di midollo osseo.
Interessante sarebbe estendere lo studio anche a coloro che hanno il sistema immunitario indebolito per altri motivo, come per esempio da cicli di chemioterapia o per malnutrizione.
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