La natura che fa bene ai droni (e viceversa)
Studiare i lepidotteri per migliorare i droni anti-inquinamento: ecco come ambiente e tecnologia si intrecciano sempre di più
SCOPERTE – Quello tra droni e ambiente è un connubio che sembra, con il trascorrere del tempo, sempre meno improbabile. Da una parte ovviamente c’è chi tutela il proprio patrimonio vietando l’utilizzo dei droni ancora difficile da regolamentare, come il parco di Yellowstone con il suo absolutely no drones allowed. Dall’altra siamo ben oltre l’aver capito le enormi potenzialità che queste nuove tecnologie ci offrono, per esempio nell’ambito della conservazione.
Ne è un esempio il gruppo di ricerca di John Durban, biologo marino che grazie all’Hexacopter ha osservato prima le orche al largo della costa canadese, e ora le balene grigie in California. Le immagini sono spettacolari. Niente più lunghi appostamenti sulle spiagge ma un comodo drone che tenendosi a distanza tale da non disturbare gli animali – anche questa una branca di studi tutta in fieri – li riprende e permette agli scienziati di valutarne le condizioni fisiche. Specialmente in periodi delicati come le migrazioni.
Così, un po’ come è già successo con il super adesivo GeckSkin (ispirato come si può intuire alle straordinarie capacità dei gechi), gli scienziati al giorno d’oggi osservano le peculiarità animali per tecnologie bioispirate. E la faccenda riguarderà presto anche i droni – ora orientati al rilevamento di sostanze inquinanti – come fa intuire il lavoro appena pubblicato su Integrative and Comparative Biology dal gruppo dell’entomologo Ring Cardé della University of California. Che si è chiesto: potremmo usare le strategie olfattive degli insetti, per esempio dei lepidotteri, applicandole ai robot?
I lepidotteri maschi (la specie osservata in questo caso è la limantria, Lymantria dispar) localizzano le femmine sfruttando i feromoni, e viaggiano anche per centinaia di metri alla ricerca delle loro partner. Il primo che arriva si accoppia, perciò il meccanismo è sottoposto a una pressione selettiva non da poco. La tecnica è semplice: individuare la parte più esterna della scia “odorosa” e poi procedere controvento. Se perdono la scia, i maschi non devono far altro che continuare a volare con il vento trasversale. Comprendere a fondo questa strategia e copiarla, spiegano i ricercatori, potrebbe permetterci di costruire droni volanti in grado di cercare tracce ben precise, per esempio la presenza di inquinanti. Ottimizzando la loro capacità di orientarsi e seguire la traccia senza perderla.
Sfruttando alcune osservazioni sul campo e una piccola galleria del vento, il gruppo di entomologi ha elaborato un modello al computer sia per la dispersione dei feromoni sia per la strategia che i maschi utilizzano per seguirne la traccia: simulazioni che hanno permesso di testare molte condizioni che, appostati in una foresta, sarebbe stato difficile verificare.
“I nostri test confermano che ricerche casuali – spostarsi sulla base del vento, cambiando direzione a tratti – permettono di seguire i percorsi più efficaci nella fase in cui viene identificata la traccia, e di conseguenza aumenta la probabilità del maschio di trovarne poi la fonte”, spiega Cardé. “Queste strategie sono pensate appositamente per portare al contatto con la scia dei feromoni. E le conclusioni confermano che scegliere un percorso perché strettamente legato alla direzione del vento, i cosiddetti crosswind bias, non è la tecnica ottimale. Procedere sottovento in questo caso è decisamente una strategia poco vincente”. E ora lo sa anche chi lavora sui droni anti-inquinamento.
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