Il cancro è ancora disuguale
Al sud ci si ammala meno ma si muore di più (e si fa meno prevenzione)
APPROFONDIMENTO – Circa un anno fa veniva pubblicata un’indagine dell’Istat sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, che mostrava che il nostro paese, quanto a salute fisica generale, non naviga in acque così cattive, specie rispetto al resto d’Europa, sebbene vi siano profonde disuguaglianze, specie fra nord e sud della penisola, ma anche fra chi vive una situazione economica precaria o non ha un titolo di studio. Una panoramica confermata anche dal recente studio I numeri del cancro in Italia nel 2015, che OggiScienza sta raccontando in questa serie di 3 puntate, e che mostra un quadro oncologico ancora profondamente eterogeneo per i principali indicatori epidemiologici, incidenza, prevalenza, mortalità e sopravvivenza.
Al sud ci si ammala meno ma si muore di più Il primo dato registrato è che nel 2010 la prevalenza (cioè il numero di persone viventi con una diagnosi di cancro) nelle regioni del sud è la metà rispetto al nord. Un fatto che può essere spiegato in due modi: da un tasso di incidenza più basso, che significherebbe che ci si ammala di meno, o da una mortalità più elevata. La prevalenza misura solo gli individui viventi a cui è stata fatta una diagnosi di cancro.
Guardando i dati sembrano vere entrambe le cose: al sud ci si ammala di meno ma in proporzione si muore di più. Il tasso di incidenza delle regioni del nord Italia (standardizzato sulla popolazione europea) è di 488,4, mentre al sud e nelle isole ci si arresta a un 423,4. Secondo gli esperti che hanno redatto il report, questa minore incidenza nel Meridione si spiegherebbe con una minore esposizione ai fattori di rischio, come fumo, inquinamento ambientale, consumo di alcol, ma anche che a maggiori fattori “protettivi”, come per esempio uno stile di vita alimentare più sano. Al tempo stesso però al sud si muore di più e come è noto la sopravvivenza è fra le altre cose indice di efficacia del sistema sanitario.
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi fra i maschi è del 49% al sud e nelle isole contro un 52% medio del nord Italia. Per le femmine la differenza è leggermente maggiore: 61% di sopravvivenza a 5 anni al nord e 57% al sud. Il centro Italia si allinea in questo con il Settentrione.
Anche lo screening è disuguale Una delle ragioni di questo gradiente nord-sud circa la mortalità per cancro è senza dubbio la profonda disomogeneità regionale riguardo alla prevenzione. Al sud si sottopongono a screening meno persone, soprattutto meno donne, rispetto al nord. Gli ultimi dati in merito sono stati pubblicati dal Ministero della Salute a febbraio 2015 e sono aggiornati al 2013. Al sud nel 2013 si sono sottoposte a screening mammografico due terzi delle donne rispetto al nord. Per il colon retto le differenze sono ancora più abissali: circa un terzo delle persone risponde al sud. Nel caso dello screening cervicale, per individuare il cancro alla cervice uterina invece, sia al nord che al sud la percentuale di donne che nel 2013 ha aderito effettivamente è stata circa il 70%.
Migranti: sono sani ma fanno meno prevenzione Sul fatto che la popolazione immigrata, regolare o meno che sia, sia sostanzialmente sana, è cosa assodata e confermata da numerosi studi, non da ultimi i dati pubblicati da OsservaSalute, da una recente ricerca pubblicata dall’Università Ca’ Foscari e da un monitoraggio eseguito nel 2014 nientemeno che dall’INMP. Nonostante questa premessa però, anche gli immigrati si ammalano di cancro e in molti casi l’incidenza maggiore di alcuni tumori è dovuta a una scarsa cultura sull’importanza della prevenzione, cioè di sottoporsi a screening. Bisogna poi considerare all’interno delle analisi, anche le caratteristiche epidemiologiche (incidenza, mortalità) di ogni patologia nel paese di origine dell’immigrato. La banca dati più completa in questo senso è il progetto Globocan. Il caso più evidente di questo meccanismo in Italia è quello del cancro alla cervice uterina, che rappresenta il secondo tumore come diffusione fra i paesi in via di sviluppo. Al tempo stesso però le donne straniere si sottopongono a screening di meno rispetto alle italiane: il 72% contro il 78%, sebbene il rischio di ammalarsi sia maggiore in queste popolazioni.
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