Le dinamiche emotive tra scienza e complotto su Facebook
Via via che sotto un post aumentano i commenti, il sentiment diventa sempre più negativo. Cosa va storto nelle discussioni di scienza e complotto su Facebook?
APPROFONDIMENTO – Ogni tanto, sulle pagine Facebook, appassionati di scienza e professionisti della comunicazione scientifica si incontrano con i cosiddetti filo-complottisti. Da un lato c’è chi si affida a informazione facilmente verificabile, studi pubblicati su riviste scientifiche e soggetti a peer review, ricerche certificate da università ed enti istituzionali. Dall’altro chi sceglie le fonti alternative ai media tradizionali, informandosi in un contesto fortemente disintermediato.
Si tratta di due gruppi che si incrociano di rado, ma quando succede non c’è vero confronto: nessuno torna a casa con conoscenze in più o qualche sano dubbio. Il risultato sono invece toni accesi, discussioni negative e un ulteriore alzarsi dei muri tra le due parti mentre la comunicazione fallisce. Nessuno cede di un passo sulle proprie posizioni, né è disposto a mettere in discussione le proprie idee. Se già molti avevano quest’impressione poco felice, ora lo conferma uno studio pubblicato su PLoS ONE da un team dell’IMT (Institute for Advanced Studies) di Lucca, che per quattro anni ha seguito l’evoluzione delle conversazioni sui post di Facebook di informazione scientifica e su quelli filo-complottisti. E che dovrebbe dare molto da riflettere agli appassionati di scienza e a chi della comunicazione della scienza -anche sui social network- ha fatto una professione.
La ricerca ha analizzato un corpus di oltre un milione di commenti e l’attività di 280mila utenti polarizzati di Facebook (per utenti polarizzati si intendono persone particolarmente attive sul social network e che lasciano il 95% dei loro like su post inerenti a uno o all’altro filone). Ci ha incuriositi doppiamente in quanto, tra le pagine Facebook di scienza considerate, ci siamo anche noi di OggiScienza.
“Abbiamo osservato che gli utenti sono fortemente polarizzati su una delle due narrative e che a guidare la selezione dei contenuti è il confirmation bias: in entrambi i casi le persone cercano informazioni che confermino le loro convinzioni, ancor più se sono radicate e hanno un impatto emotivo”, spiega Fabiana Zollo, prima autrice del paper e ricercatrice del Laboratory of Computational Social Science di Lucca, che studia da anni le dinamiche del contagio sociale sui vari social network.
Prima di tutto i ricercatori hanno osservato come cambia il tono della conversazione sui singoli post di Facebook, ovvero come le persone interessate alla scienza si relazionano a un post di scienza e come i filo-complottisti reagiscono a un contenuto filo-complottista. Hanno scoperto che tanto più è lunga la discussione sotto un post, in entrambi i filoni, più il tono si inasprisce, anche se in partenza sulle pagine di scienza contenuti e commenti sono meno negativi (vedi figura sotto). “Ci siamo serviti di tecniche di sentiment analysis per studiare le dinamiche emozionali sulle varie pagine Facebook”, racconta Zollo, “e abbiamo confermato che gli utenti coinvolti si influenzano negativamente tra loro. Più la conversazione va avanti -e più gli utenti sono attivi nel loro campo- più il sentiment diventa negativo”.
Per attribuire un sentiment ai vari commenti, un gruppo di volontari ha lavorato manualmente su parte del milione di commenti (anonimi e senza riferimento al post sotto il quale erano stati lasciati) selezionati dai ricercatori. Ogni annotatore aveva una serie di commenti e doveva stabilire se si trattava di contributi positivi, negativi o neutri.
Poi appassionati di scienza e filo-complottisti si incontrano (poco)
Il contesto del web è fortemente disintermediato: chiunque può produrre un contenuto e metterlo online senza che vi sia alcun controllo sulla sua veridicità, ma nessuno vieta a chi le fonti le ha di fare corretta informazione, intervenendo nelle discussioni per cercare un confronto civile. Raggiungendo un pubblico nuovo, anche se sappiamo che a volte farlo non porta risultati.
Solo che, appunto, non va proprio così.
“Siamo andati a vedere cosa succede quando le due comunità di utenti interagiscono tra di loro, accorgendoci subito che questi due gruppi non si confrontano spesso”, spiega Zollo, “sui 300mila post che abbiamo osservato, solamente 8mila ospitavano discussioni tra filo-complottisti e appassionati di scienza. Succede di rado, ma quando succede i post mostrano concentrazione molto più alta di sentiment negativo. Il risultato? È solamente quello di alzare le barricate tra le due tipologie di utenti”. La percentuale di post in cui gli utenti polarizzati scambiano informazioni tra loro è davvero minima. “Se un utente è fidelizzato all’idea filo-complottista difficilmente arriverà a pagine di contenuto scientifico e viceversa”, complice anche l’algoritmo di Facebook.
«Sfortunatamente, nonostante l’entusiasta retorica riguardo all’intelligenza collettiva, l’accesso diretto e indifferenziato alla produzione di conoscenza sta avendo risultati opposti» premette il paper su PLoS ONE. Anche qui, insomma, qualcosa non ha funzionato al 100%. “Tutti i nostri studi possono essere inquadrati nell’ambito della misinformation, annoverata dal World Economic Forum come uno dei temi più interessanti e pericolosi riguardo all’informazione -e a come quella infondata e falsa riesce a diventare virale-“, spiega Zollo. “Si è sempre pensato che il Web avrebbe dovuto e potuto tirar fuori le migliori conoscenze, facilitando il progresso e rivoluzionando la società mettendo insieme tante menti, libere di esprimere le proprie opinioni liberamente”. Da una parte ha funzionato, dall’altra forse questa intelligenza collettiva è stata caricata da troppe aspettative, “perché le capacità di fact checking degli utenti non sono poi così affidabili”.
Discutere in modo costruttivo e creare valore
Ricapitolando per entrambe le parti, filo-complottisti e appassionati di scienza: se commentiamo a lungo un post di nostro interesse la conversazione finisce per guastarsi e assume toni negativi. Se commentiamo post di filone opposto non portiamo nuovi spunti di riflessione, al contrario il sentiment peggiora ulteriormente e non ci si avvicina gli uni agli altri. Nemmeno un po’. Resta da chiedersi: cosa è andato storto? “Questo comportamento è dato dalla necessità di ribadire se stessi e rafforzare il proprio carisma, schernendo la controparte. Del resto Facebook si basa sui like, quindi si cerca di ottenere consenso. Ma nel momento in cui si discute ognuno ha i suoi dogmi e cerca di farli prevalere”, spiega Zollo. Manca quindi l’interesse a cercare di capirsi, di cambiare la propria opinione o modificarla venendo a contatto con persone più o meno esperte. “Non è difficile capire perché i toni non sono rosei: da un lato c’è la scienza che diventa religione, unico dogma che consente di spiegare la realtà delle cose, dall’altro il filo-complottismo che procede nella stessa direzione”.
È il confirmation bias a guidare tutto il meccanismo e non c’è differenza, se non nei contenuti, nel modo in cui le due “comunità” fruiscono le informazioni. “La questione è capire come rendere possibile l’incontro, limare il fenomeno”, continua la ricercatrice. “Il punto è che quando una persona è estremamente coinvolta, ad esempio nel filone filo-complottista, è più prona a interagire con i contenuti intenzionalmente falsi. In un altro studio abbiamo indagato proprio questo fenomeno, siamo ‘entrati’ nell’eco-chamber filo-complottista e abbiamo scoperto che via via che l’utente diventa più attivo tende ad abbracciare l’intero corpus complottista”, assorbendone come veri tutti i contenuti.
Vi lasciamo riflettere (perché l’argomento lo merita) con qualche domanda partendo da una vecchia intervista a chi lo strumento ce l’ha dato, Mark Zuckerberg, pubblicata su Wired nel 2009.
Pensate a cosa fanno le persone oggi su Facebook. Si tengono aggiornate sulle attività di famiglia e amici, ma allo stesso tempo costruiscono un’immagine e un’identità per se stesse. Il loro brand, in un certo senso. Entrano in contatto con il pubblico con il quale vogliono parlare. Non esserci ora è quasi uno svantaggio.
Perciò chiediamoci,
Qual è il mio pubblico?
Con chi voglio parlare davvero quando interagisco su Facebook in merito ad argomenti scientifici?
Mi interessa raggiungere persone nuove estranee agli argomenti scientifici o il mio interlocutore è chi già ha fiducia nella scienza e sa di cosa si parla?
Se la scienza appassiona la mia “comunità”, perché le conversazioni degenerano invece di affascinare?
Quanto rispecchiano la mia identità, il mio brand, i commenti magari molto accesi che dissemino in giro?
La discussione con la controparte è davvero un confronto o più che altro occasione di scherno e di far sfoggio delle mie conoscenze?
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