Mauna Kea, ultimo atto: stop al telescopio
Problemi burocratici per il progetto di costruzione del più grande telescopio al mondo: quando i nativi si oppongono
ATTUALITÀ – La costruzione del Thirty Meter Telescope sul monte Mauna Kea delle isole Hawaii deve essere fermata. È questa l’ultima parola della corte suprema delle Hawaii che mette così il punto a mesi di scontri per la contesa di un territorio speciale, non a caso diventato un simbolo religioso in antichità e, in tempi più recenti, scelto da una task force internazionale di università e istituti di ricerca per installare un osservatorio astronomico con potenzialità irraggiungibili altrove.
La situazione, in breve: il monte è l’ideale per osservazioni astronomiche a zero inquinamento luminoso, copre una zona non visibile nell’emisfero boreale, ma per la sua maggiore vicinanza al cielo è anche un luogo sacro e i nativi Hawaiiani non vogliono che venga toccato, per quanto nobile sia la causa. La zona circostante è stata del resto finora in parte utilizzata da telescopi più piccoli, ma non senza difficoltà. A partire da aprile, le proteste dei nativi hanno di fatto bloccato i lavori nei cantieri.
Scienza vs Religione. Anzi no, solo burocrazia
Questa decisione arriva in realtà un po’ a sorpresa, lo scorso giugno infatti sembrava che l’accordo trovato fosse il compromesso definitivo, anche se a novembre c’era stato in effetti qualche presagio di nuovi scontri. Pare quindi che non ci sia compromesso che tenga, e il progetto da 1 miliardo e mezzo di dollari per la costruzione del telescopio più potente al mondo trova un epilogo un po’ scoraggiante per gli astronomi.
Tuttavia, stando alle carte, non è la scienza a essere bocciata, ma la burocrazia e, in parte, la diplomazia.
In sostanza, le autorità hawaiane del Comitato del Territorio e delle Risorse Naturali, già nel 2013 non avrebbero dovuto concedere il permesso alla costruzione senza prima interpellare, almeno formalmente, i rappresentanti della comunità dei nativi. Una specie di ‘vizio di forma’, insomma, che rende di fatto irregolare tutta la procedura seguita.
I nativi hanno quindi vinto in conclusione la loro battaglia? In questo modo è stata di certo trovata una formula che riconosce l’esclusione della comunità dalle prime fasi di avvio del progetto – i delegati della fazione TMT hanno ribadito ancora una volta i loro sforzi, tardivi, per un coinvolgimento – tuttavia è difficile trarre le fila di quello che sembrava un banco di prova importante per valutare la convivenza di scienza e tradizione, in un luogo eccezionale da entrambi i punti di vista.
A questo proposito, mentre il mondo ha conosciuto in questi mesi una (quasi) inedita variante di dibattito e di scontro tra comunità all’avvio di un progetto scientifico, un rappresentante del Mauna Kea Hui ha voluto ridimensionare la storia per come è stata raccontata. Non si è trattato di uno scontro religione-scienza vero e proprio, ha spiegato Keloha Pisciotta al NY Times, ma il tutto dovrebbe essere invece letto solo nell’ottica di una richiesta di maggiore rigore nella gestione del suolo. Una dichiarazione simile però manda solo in confusione i commentatori, anche perché erano stati gli stessi nativi, tra le altre cose, a contestare l’utilizzo scorretto del terreno soprattutto dal punto di vista ambientale, e a mettere in discussione le previsioni dei ritorni economici grazie all’indotto delle attività di studio e ricerca.
Una decisione irrevocabile?
Non è chiaro in definitiva quale sarà la fine di TMT, visto che a subire la bocciatura ufficialmente è stata la procedura seguita, contestata sotto l’aspetto legale- burocratico, e non il progetto in sé. Gli stessi portavoce della TMT corporation hanno infatti subito sottolineato la differenza , forse proprio per chiarire che la partita non è finita. Secondo le regole vigenti, TMT può ripresentare domanda, ma tutto dipende quindi da come e quando verrà ripresa in mano la pratica e se il processo di autorizzazione, che dovrà ricominciare inevitabilmente daccapo, filerà liscio senza intoppi.
L’appuntamento per decidere la prossima mossa di TMT dovrebbe essere a febbraio, la posta in gioco è molto alta, così come il rischio. Senza Mauna Kea l’astronomia internazionale perderebbe infatti un’occasione unica, difficilmente rimpiazzabile dagli altri telescopi di nuova generazione in parte già attivi.
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