La Papua Nuova Guinea ferita dal Niño
Siccità e gelo hanno annientato l'agricoltura locale, riducendo allo stremo la popolazione. La denutrizione e la scarsa igiene innescano focolai di lebbra e l'abbandono dei villaggi più interni
AMBIENTE – Mentre il Borneo brucia, avvolto dalle fiamme degli incendi dolosi, in un’altra grande isola il suolo è talmente duro da non lasciare orme, sbriciolandosi al passaggio di una moltitudine di uomini e animali. Donne, anziani e bambini ma anche cani, capre e maiali: in queste settimane le regioni montane della Papua Nuova Guinea sono teatro di un esodo massiccio verso le regioni costiere.
La siccità che ha colpito il Sudest asiatico e l’Oceania vicina è una conseguenza de El Niño, fenomeno climatico che scalda periodicamente le acque dell’Oceano Pacifico occidentale.
Quattro mesi senza pioggia, uniti al gelo, hanno messo in ginocchio la fragile agricoltura di sussistenza, colpendo con maggiore intensità la regione interna delle Terre Alte e in particolare le province di Enga e degli Altopiani meridionali, nelle quali da settembre vige lo stato di emergenza.
Le coltivazioni di taro sono state le prime ad andare perdute, seguite da quelle di patata dolce; l’aridità non ha risparmiato nemmeno la manioca, meno esigente dal punto di vista idrico ma colpita dalla proliferazione di insetti xilofagi. La pesca è impraticabile poiché gli stagni e i torrenti sono asciutti, obbligando inoltre la popolazione a lunghe marce per rifornirsi di acqua potabile dai grandi fiumi.
“La penuria di acqua potabile è un problema diffuso ma gestibile” – ha riferito il commissario per la crisi idrica Matthew Kanua – “Le malattie trasmesse attraverso l’acqua possono però rappresentare un grave rischio poiché la maggior parte delle persone fanno il bagno e lavano i panni nello stesso fiume dove si abbeverano”. Favorendo per esempio la diffusione di tifo e colera. Intanto, sono stati segnalati focolai di lebbra e di alcuni disturbi gastrointestinali severi che hanno portato alla morte per disidratazione.
L’aridità dei pascoli ha costretto molte famiglie ad abbattere i propri animali per macellarli. Tuttavia dopo essersi cibati della carne, in molti hanno dichiarato di provare forti dolori allo stomaco. “Soffrono di dissenteria e si sentono deboli – ha dichiarato un medico locale, Jimmy Nebni. – Preghiamo Dio perché ci aiuti in questa situazione”. Anche il carburante e le forniture mediche iniziano a scarseggiare: scuole e presidi medici sono costretti a lavorare a orari ridotti o a rimanere del tutto chiusi.
L’80% della popolazione della Papua Nuova Guinea vive in villaggi rurali autosufficienti. La maggioranza si trovano a molti giorni di cammino dalla città più vicina, raggiungibili solo con un battello o dei piccoli aeroplani. In questa condizione di isolamento, la popolazione si è ridotta a cibarsi di qualunque cosa capiti, masticando e ingerendo argilla per curare i morsi della fame. Nei centri medici sono stati registrati numerosi casi di persone in stato comatoso o in trattamento per dissenteria e vomito per aver mangiato funghi velenosi.
In questa crisi umanitaria il governo papuano non è tuttavia immune da colpe. Uno dei principali ostacoli alla pianificazione delle contromisure e alla predisposizione dei soccorsi è infatti la mancanza di informazioni meteorologiche capillari. Nel 1970, nel Paese erano operative 330 centraline di rilevamento ma già durante la siccità del 1997 si erano ridotte a 30. “Oggi quelle in funzione sono meno di dieci” spiega Mike Bourke, ricercatore in agronomia e geografia presso l’Australian National University.
Secondo i meteorologi, questo è il Niño più forte degli ultimi 65 anni, con effetti potenzialmente più catastrofici di quello che tra il 1997 e il 1998, provocò la morte di oltre 23 mila persone. Sebbene le recenti piogge abbiano portato un parziale sollievo, in molte zone del Paese la ripresa delle colture è timida: l’emergenza è destinata a protrarsi per i prossimi sei mesi.
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