Curiosità: e se Pandora non aprisse il vaso?
Anche quando le conseguenze possono essere spiacevoli, la curiosità ci porta a esplorare le situazioni incerte
RICERCHE – La curiosità è come un motore che ci spinge ad andare avanti, malgrado la paura, la stanchezza, la necessità di impegnarsi in altro modo. Lo sa chi crea messaggi pubblicitari, chi scrive i titoli dei post su Facebook, chi pianifica la trama di un libro o inserisce un tocco di mistero nella sceneggiatura di un film. In genere la curiosità è una qualità positiva, perché ci spinge a imparare cose nuove. Ma è sempre così?
Gli antichi Greci, attenti conoscitori dell’animo umano, hanno descritto la curiosità nel celebre mito di Pandora, la donna che aprì il vaso spinta dal desiderio di conoscere il suo contenuto. Ma la storia non termina con il lieto fine, perché dal vaso uscirono tutti i demoni che agitano l’animo umano.
Il mito sembra dirci che è più forte il desiderio di conoscere che la paura degli eventuali esiti negativi creati dalla nostra azione. Il curioso insomma prosegue nella sua sete di sapere, malgrado gli avvertimenti di un possibile rischio.
Una ricerca scientifica sembra confermare il messaggio lasciato dal mito. Lo studio, realizzato dalla Wisconsin School of Business in collaborazione con la University of Chicago Booth School of Business, voleva capire se la curiosità sia davvero un desiderio così forte per trovare una risposta all’ignoto, anche quando gli elementi sconosciuti possono portare a un esito del tutto indesiderato. E il risultato è stato chiamato “effetto Pandora“.
Immaginate di avere a disposizione un set di penne con cui potete giocherellare per passare il tempo: cinque sono marcate con un’etichetta rossa, per segnalare che trasmettono una leggera scossa elettrica, e cinque hanno un’etichetta verde, che ne indica l’innocuità. Con quale iniziereste a giocare? E se ce ne fossero a disposizione dieci marcate con un bollino giallo di cui non conoscete l’effetto?
Messi in queste condizioni, i 54 studenti coinvolti nella ricerca sono sempre stati più propensi ad andare verso l’ignoto. Il gruppo che aveva le penne riconoscibili ha comunque giocato di più con quelle che trasmettevano corrente (in media hanno toccato due penne rosse e una sola verde). Il maggior numero di contatti si è però verificato nel gruppo con le penne che funzionavano a sorpresa: in questo caso gli studenti hanno provato in media cinque penne, benché sapessero che c’era una certa probabilità di prendere la scossa. Se qualcuno pensa che l’esito sia stato favorito da un numero non uguale di penne, l’esperimento è stato ripetuto lasciando a disposizione dieci penne di ciascun tipo e ha dato lo stesso risultato.
I ricercatori, che hanno pubblicato lo studio su Psychological Science, si sono poi domandati se alla fine di esperimenti di questo tipo fossero più contenti i curiosi o le persone più disinteressate.
Per rispondere al quesito hanno effettuato un terzo esperimento.
Se avessimo davanti a uno schermo una scacchiera con tasti su cui è scritta la parola “unghie”, associata al suono che fanno appunto le unghie che raschiano la superficie di una lavagna, e altri tasti su cui scritto “acqua”, che riproducono il suono dello scorrere dell’acqua, tutti saremmo più propensi a preferire il suono più gradevole. Ma se sullo stesso schermo comparissero punti interrogativi che generano la sorpresa, saremmo comunque portati ad affidarci al caso?
Sembra di sì, almeno per gli studenti coinvolti nell’esperimento. Anzi, quando il numero delle caselle incognite aumentava, gli studenti erano più invogliati a toccare i tasti per svelare il rumore associato. In media i partecipanti hanno schiacciato i tasti 39 volte mossi dalla curiosità di sapere quale suono si nascondesse dietro alla casella incognita, contro le 28 volte di chi giocava a carte scoperte.
Alla fine chi si è trovato di fronte a una maggior quantità di caselle dal contenuto ignoto e chi ha fatto più tentativi (magari spiacevoli) ha concluso l’esperimento con una sensazione di felicità minore rispetto a quelli che conoscevano la conseguenza della propria azione.
Tuttavia c’è anche l’altro lato della medaglia. Chiedere ai candidati di predire le conseguenze della propria azione, renderli consapevoli dei possibili esiti negativi, significa anche smorzare la curiosità.
L’ha dimostrato un ulteriore esperimento online, in cui venivano presentate agli utenti immagini oscurate di insetti, che potevano scegliere di “svelare”. Le persone a cui venivano presentate più scelte incerte avevano la tendenza a voler svelare le immagini, provando poi una sensazione di malessere alla vista dell’insetto. Le persone invitate a riflettere su come si sarebbero sentite quando si fosse presentato davanti ai loro occhi uno scarafaggio o un millepiedi avevano la tendenza a svelare le immagini molto meno di frequente.
Ma predire le conseguenze quando si va verso l’ignoto serve solo a smorzare la curiosità. È stato dimostrato da un altro esperimento online in cui venivano presentate agli utenti immagini oscurate di insetti, che potevano scegliere di “svelare”. Di nuovo hanno scelto più volte di svelare le immagini quelli che avevano meno certezze, mentre quelli a cui veniva chiesto come si sarebbero sentiti preferivano scegliere di non vedere. Questo comportamento dovrebbe far riflettere anche noi, che siamo nell’era del “click compulsivo”, per cui basta muovere un dito per trovarsi in situazioni che potrebbero essere spiacevoli.
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