Addestramento dei cani nelle aree protette abruzzesi? Federparchi chiede l’abrogazione della norma
"È un controsenso enorme" dice il presidente Giampiero Sammuri. “Si tratta di una presenza dannosa per tutte le specie a terra, non solo mammiferi ma anche gli uccelli che fanno il nido e depongono le uova sul terreno”
CRONACA – Lo scorso 5 aprile, durante il consiglio regionale dell’Abruzzo, è stata modificata una legge che riguarda le aree protette introducendo una novità: sarà possibile condurre attività cinofile e cinotecniche, in poche parole svolgere gare, allenare e addestrare i cani (anche quelli da caccia) in qualsiasi periodo dell’anno. La modifica riguarda il Parco regionale Sirente Velino, classificato come Zona di Protezione Speciale, ma anche le altre riserve della regione quasi tutte tutelate a livello europeo e comprese nella rete Natura 2000.
Il provvedimento non ha precedenti in alcuna regione italiana e il coordinamento abruzzese di Federparchi, attraverso Antonio Carrara, ha già chiesto al consiglio regionale di abrogare questa norma che “annulla la possibilità di una conservazione attenta delle specie faunistiche, alcune di importanza prioritaria, presenti nelle aree protette abruzzesi”. Abbiamo chiesto un commento a Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi.
“Non capisco davvero l’esigenza di fare una cosa del genere in un’area protetta. Proprio mentre stiamo discutendo per limitare l’utilizzo dei cani nelle aree in cui è prevista la caccia, per salvaguardare l’orso marsicano, si vuole iniziare ad addestrarli all’interno dei parchi? È un controsenso enorme”. Circa il 25% del territorio abruzzese è considerato area protetta, ben più della media nazionale (10%), e attività come gare cinofile e addestramento di cani da caccia rappresentano un’enorme fonte di disturbo per la fauna locale. Per non parlare del rischio legato alla trasmissione di patologie: nelle linee guida dei parchi (un esempio è il Gran Paradiso, premiato anche dalla IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, per la buona gestione) non è certo raro leggere che i cani non possono circolare liberamente.
“Si tratta di una presenza dannosa per tutte le specie a terra, non solo mammiferi ma anche gli uccelli che fanno il nido e depongono le uova sul terreno”, commenta Sammuri. “Se i genitori vengono disturbati e abbandonano la posizione di cova, le uova si raffreddano e non si schiudono più. Per non parlare della predazione diretta, o degli effetti sul letargo degli orsi”. Con l’aumento delle temperature “il letargo e il pre-letargo dei plantigradi della penisola durano sempre meno, ma gli animali devono comunque poter stare tranquilli”.
La biodiversità da tutelare
L’orso marsicano -con i circa 50 individui stimati dal rapporto LIFE+ Arctos del 2014- è una delle specie più carismatiche dei nostri parchi, ma non va dimenticato che in Abruzzo vive anche un altro protagonista dei progetti europei LIFE+ in Italia: il camoscio appenninico, la specie Rupicapra pyrenaica ornata, che agli inizi del secolo scorso contava solo una trentina di individui. Oggi ce ne sono circa 2.000 e la colonia istituita più di recente (2013), nell’ambito del progetto di conservazione Coornata, è proprio quella del Sirente Velino. L’unico areale in cui questo camoscio non si è mai estinto è il Parco Nazionale dell’Abruzzo, Lazio e Molise.
Anche in virtù di questa enorme ricchezza di biodiversità, secondo Sammuri è probabile che ci si renda presto conto dell’errore fatto con questa legge. E si capisca che, a fronte di quel circa 25% di aree protette, rimane un abbondante 70% della regione in cui poter svolgere attività con i cani senza problemi. “Peraltro proprio in questo periodo, come Federparchi, stiamo ragionando insieme all’Ente Nazionale Cinofilia Italiana su come certificare i cani addestrati per poter stare all’interno dei parchi. Non parlo solamente di cani a uso venatorio”, precisa Sammuri, “ma anche quelli da guardiania e pastorizia: è importante che sappiano mantenere un comportamento adeguato”.
Il caso vuole che proprio pochi giorni fa si fosse nuovamente parlato del progetto di ampliamento dei bacini sciistici (con tanto di resort) in Abruzzo, a Piani di Pezza, proprio nel Parco regionale Sirente Velino. “Quello è un problema ancora più complesso: oltre alla tutela dell’ambiente, bisogna anche decidere che cosa si vuole fare del territorio”, commenta Sammuri. “In termini economici, pensando a come sta cambiando il clima, puntare sugli impianti sciistici non mi sembra un’ottima idea. Si potrà sciare sempre meno: il riscaldamento globale incide sulle Alpi, figuriamoci sull’Appennino!”.
Prima di procedere con un progetto del genere, ovviamente non privo di impatti sull’ambiente e sulla fauna che ospita, bisogna effettuare delle specifiche valutazioni. “Una in particolare, la valutazione d’incidenza, deve stabilire in che modo la nuova opera andrebbe a incidere sulle motivazioni che hanno portato alla creazione del sito protetto”, spiega Sammuri. Ovvero, in questo caso, sulla tutela di determinate specie e del loro habitat. “Su opere più piccole, pensiamo ad esempio a una strada, si può intervenire. Certo, incide sullo spostamento degli animali, ma creando degli adeguati sottopassaggi e opere di mitigazione è comunque possibile fare qualcosa”, anche se per rendere efficaci gli ecopassaggi sono necessari studi altrettanto sofisticati. “Un impianto sciistico è diverso, il problema non riguarda più il solo disturbo ma l’utilizzo delle risorse e l’uso del territorio”.
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