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Terapia genica: ricostruita la mappa delle staminali del sangue dopo il trapianto

I risultati del primo studio clinico sugli esseri umani, realizzato da un gruppo di ricerca italiano

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I risultati di una ricerca indicano che è possibile seguire il destino delle cellule staminali sottoposte a terapia genica dopo il trapianto. Crediti immagine: CDC/ Amanda Mills

RICERCA – L’idea alla base della terapia genica delle malattie ematologiche è quella di isolare le cellule staminali del sangue di un paziente affetto da una certa malattia genetica e correggere il gene difettoso. Finora però non era stato possibile tenere traccia di queste cellule autotrapiantate, in modo da monitorarne l’evoluzione, l’attività e la sopravvivenza nel sangue di un paziente umano dopo il trapianto. Ci è riuscito per la prima volta al mondo un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), scoprendo che le cellule staminali trapiantate ricostituiscono le cellule del sangue in due ondate principali, una più precoce e a breve termine, un’altra più tardiva e stabile a diversi anni di distanza dal trapianto. La ricerca suggerisce inoltre l’ipotesi che siano sufficienti poche migliaia di cellule infuse per garantire una produzione stabile e duratura di cellule del sangue nella persona trapiantata. Lo studio è stato pubblicato su Cell Stem Cell ed è stato realizzato nell’ambito della sperimentazione clinica di terapia genica per la sindrome di Wiskott-Aldrich, una rara e grave immunodeficienza congenita.

“Si tratta di un’importante scoperta per la messa a punto in futuro di terapie mirate” spiega Luca Biasco, primo autore dello studio. “Lo studio ha ricadute cliniche immediate, come stabilire se la ripopolazione delle cellule in un individuo sia fisiologica oppure no, e chiarire l’efficienza della terapia genica, cioè capire se le cellule corrette sopravvivono più a lungo di quelle non corrette. Questi risultati permetteranno, in una prospettiva più a lungo termine, anche di capire come monitorare meglio il paziente dopo il trapianto, una volta che le cellule sono attecchite – prosegue Biasco – ed eventualmente aggiustare il tiro nella scelta delle cellule da trapiantare”.

Alla base di questo approccio vi è il fatto che quando un gene viene modificato si installa in un sito preciso del genoma, che è diverso da cellula a cellula, ma che rimane stabile nella singola cellula. Quando la cellula staminale ematopoietica si duplica in due cellule figlie, esse ereditano le medesime caratteristiche, ed è quindi possibile risalire anche nelle generazioni cellulari successive alla posizione esatta del gene terapeutico. Come se possedessero una sorta di ‘codice a barre molecolare’. Il primo passo è stato l’isolamento delle cellule staminali e delle altre cellule differenziate dal paziente e l’analisi molecolare del loro DNA, alla ricerca proprio di questo codice che permettesse ai ricercatori di riconoscerle. “Proprio questa è la chiave per ricostruire la loro mappa genealogica”, continua Biasco. “Una volta che si integra il gene corretto nella cellula ospite, esiste un metodo molecolare che permette di individuare esattamente dove è andata a finire”.

Questo risultato apre la strada a nuove possibili linee di ricerca. “È in corso un altro lavoro – conclude Biasco – che svilupperemo fra il Tiget e l’Harvard Medical School dove io mi sposterò a partire dai prossimi mesi, per studiare le cellule staminali che sopravvivono più a lungo e fornire nuove informazioni utili a creare percorsi terapeutici sempre più efficienti, non solo per la sindrome di Wiskott-Aldrich, ma anche per altre malattie genetiche.

@CristinaDaRold

Leggi anche: Primo farmaco basato sulla terapia genica

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.