Il trasporto e l’attività, a livello molecolare
Oggi è possibile creare in laboratorio piccoli oggetti capaci di creare un moto ordinato e direzionale. Un campo tutto da esplorare
RICERCA – Oggi siamo sempre più capaci di creare in laboratorio quello che vediamo in natura. Accade anche a livello nanometrico, cioè per oggetti così piccoli che hanno le stesse dimensioni delle molecole che ritroviamo nelle nostre cellule. Oltre alla produzione di molecole, ci sono altre due proprietà che catturano l’interesse degli scienziati afferenti a diverse discipline: fisica, chimica, biologia. La prima è la possibilità di far compiere un lavoro alle molecole create; la seconda è quella di controllare il lavoro svolto, in modo che sia ordinato e direzionale.
Il gruppo di ricerca guidato da Alberto Credi, docente al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna, è impegnato nella ricerca di molecole che possano essere “messe in moto” da un impulso luminoso. Far dipendere il movimento o il cambiamento di forma di una molecola da un impulso esterno è fondamentale per trasformare il moto in un processo controllato. “Tutti gli organismi, compresi gli esseri umani – spiega Credi -, utilizzano motori molecolari costituiti da proteine per svolgere compiti fondamentali per la vita. Negli ultimi decenni noi chimici abbiamo imparato a creare macchine molecolari sintetiche, ma non siamo ancora riusciti ad utilizzarle nel mondo reale”. Ora il team guidato da Alberto Credi ha l’opportunità di fare passi avanti concreti in questa direzione.
Lo European Research Council (ERC) ha voluto premiare il progetto LEAPS (Light effected autonomous molecular pumps: Towards active transporters and actuating materials) con un finanziamento di quasi 2,5 milioni di euro. In cinque anni il gruppo di Credi dovrà trasformare il moto molecolare in un trasporto attivo di molecole, che possa essere controllato, lungo una direzione precisa e capace di far percorrere alcuni nanometri alla sostanza trasportata.
“Le pompe molecolari sono sistemi orientati, ovvero hanno una precisa direzione di entrata e uscita. Una sfida difficile è l’inserimento delle pompe molecolari in modo orientato in una struttura che separa due compartimenti, ad esempio una membrana, in modo che tutti i nanodispositivi effettuino il trasporto nella stessa direzione”, ha spiegato Alberto Credi. “Nel progetto abbiamo individuato alcune strategie per raggiungere questo obiettivo e, sebbene la maggior parte delle competenze necessarie per realizzare il progetto siano disponibili nel mio gruppo” ha aggiunto Credi, “sarà preziosa la collaborazione con esperti in settori specifici quali le membrane biologiche, la chimica dei polimeri e il modeling computazionale”.
Se si riuscisse a riprodurre in laboratorio quanto avviene a livello delle membrane delle nostre cellule, l’invenzione di Credi potrebbe trovare importanti sviluppi in campo biomedico. Ma il passaggio forzato di molecole da una parte all’altra di una membrana è anche un metodo sfruttato in natura per immagazzinare energia. Funziona ad esempio nel caso della fotosintesi. E infatti le molecole di LEAPS cambiano conformazione quando colpite dalla luce: inforcano una molecola a forma di anello, modificano la loro forma per non farla più scappare e poi, ancora per azione della luce, la rilasciano per riprendere la forma originaria. Funzionano quasi come un filo infilato nella cruna di un ago.
Il movimento del trasportatore potrebbe essere ulteriormente sfruttato, se si riuscissero a creare macromolecole formate da lunghe catene, nelle quali integrare la pompa messa a punto come entità singola in un sistema più complesso. “Il progetto prevede di creare due tipi di catene polimeriche, ciascuno contenente un diverso componente della pompa”, ha spiegato Credi. In un materiale del genere l’azione della luce potrebbe causare l’interconnessione delle macromolecole, cambiandone le proprietà. “E le difficoltà potrebbero presentarsi soprattutto a livello della compatibilità dei due tipi di catene polimeriche”. Le due componenti infatti, anziché mescolarsi, potrebbero creare due fasi separate con catene dello stesso tipo. Anche l’analisi di un materiale del genere potrebbe rivelarsi molto complessa.
La domanda che ancora Credi si pone è “come fare per capire cosa succede al polimero quando le pompe molecolari vengono azionate dalla luce”? Anche in questo secondo caso, Credi ha pensato però alle possibili applicazioni future. Del resto per vincere un bando ERC, come ha detto lo stesso Credi, servono “esperienza e visibilità a livello internazionale, creatività e indipendenza scientifica, ma anche la giusta combinazione di innovazione e concretezza in fase di scrittura del progetto”.
Nel caso del polimero dunque “si potrebbe convertire l’energia solare e immagazzinarla sotto forma di energia chimica”, ha spiegato Credi. Si verrebbe a creare un sistema più complesso, quasi una fibra, che potrebbe trasformare l’energia solare in movimento. “Con materiali di questo tipo” ha concluso Credi – “si possono costruire fibre muscolari artificiali azionate dalla luce. E magari un giorno potremmo usare queste fibre per costruire robot alimentati direttamente con l’energia del sole…”
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