La sonda Juno è nell’orbita di Giove. E ora?
Realizzata dal Jet Propulsion Laboratory della NASA, in collaborazione con l'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) che firma due strumenti a bordo, la sonda è stata lanciata il 5 agosto 2011
CRONACA – Un viaggio durato 5 anni dalla Terra fino a Giove, il pianeta gigante gassoso del sistema solare. Un viaggio che segna per la NASA il raggiungimento di un grande obiettivo e la missione più difficile finora affrontata. La sonda Juno, JupiterNear-polarOrbiter, il 4 luglio è entrata con successo nell’orbita di Giove e si prepara così a indagare i segreti del pianeta gassoso, dal suo nucleo fino alle violente tempeste che caratterizzano la sua atmosfera e l’ambiente considerato estremo. Realizzata dal Jet Propulsion Laboratory della NASA, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) che firma due strumenti a bordo, la sonda è stata lanciata il 5 agosto 2011 e dopo cinque anni e tre miliardi di chilometri percorsi è arrivata a destinazione.
Momenti di tensione negli uffici dell’agenzia spaziale statunitense, da quelli del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California, a quelli del Lockheed Martin Juno operation center di Littleton, in Colorado. Tensione esplosa in gioia tra gli scienziati quando la sonda Juno ha inviato il suo primo segnale, confermando così la sua entrata nell’orbita di Giove e il successo della missione. Charlie Bolden, amministratore della NASA, ha commentato:
“Il giorno dell’Indipendenza è qualcosa da celebrare, ma oggi al compleanno dell’America possiamo aggiungere un’altra ragione per brindare. Juno è arrivata su Giove. E cosa c’è di più americano di una missione della NASA che raggiunge luoghi dove nessuno è arrivato prima? Con Juno si dà il via alle ricerche sulle sconosciute radiazioni emesse da Giove e si arriverà non solo fino al suo nucleo, ma avremo informazioni anche su come Giove sia nato e su come l’intero sistema solare si è evoluto”.
La sonda Juno ha viaggiato per oltre 3 miliardi di chilometri in cinque anni, da quando è stata lanciata nel 2011 dalla base del Kennedy Space Center in Florida. Un veicolo spaziale alto 4,5 metri e largo 20 metri che si ripropone di esplorare per la prima volta Giove, un pianeta la cui massa è pari a 318 volte quella della Terra. Dopo aver raggiunto il massimo avvicinamento al pianeta la sonda Juno ha spento i suoi motori e si è lasciata catturare dal pianeta gigante, per poi riaccenderli i 35 minuti e 2 secondi necessari ad entrare nella sua orbita e raggiungere la posizione desiderata.
Ora che è arrivata alla meta, per Juno si prospettano 20 mesi di osservazione e intensa attività scientifica in cui percorrerà almeno 37 orbite intorno al pianeta gigante, raccogliendo importanti dati scientifici. Prima però dovrà essere sottoposta ad un periodo di calibrazione finale dei nove strumenti a bordo, di cui due italiani, e poi la raccolta dati sulle caratteristiche del pianeta entrerà nel vivo a partire dal prossimo ottobre, ha spiegato Bolton:
“La raccolta di dati scientifici inizierà in ottobre, ma abbiamo trovato un modo per iniziare a raccogliere dati molto prima di allora. Stiamo parlando del più grande corpo planetario del nostro sistema solare e questa è una cosa ottima. C’è molto da vedere e da fare”.
L’obiettivo principale della missione è capire le origini e l’evoluzione di Giove, partendo dallo studio del suo nucleo solido e mappando gli intensi campi magnetici, oltre a misurare la quantità di acqua e ammoniaca nelle profondità della sua atmosfera e osservare da vicino le aurore che si verificano sul pianeta. La missione rappresenta un enorme passo avanti nella comprensione di come i pianeti giganti si sono formati e il ruolo che questi titani giocano nel mettere insieme insieme l’intero sistema solare, ponendo così le basi per lo studio di altri sistemi planetari.
Una missione che parla anche italiano con i due strumenti a bordo frutto della collaborazione tra la NASA, l’ASI, l’Università La Sapienza di Roma e Thales Alenia Space Italia. Gli strumenti sono Jiram, Jovian InfraRed Auroral Mapper, che osserverà lo spettro dell’atmosfera gioviana nell’infrarosso per rivelare l’eventuale presenza di metano, vapore acqueo, ammoniaca e fosfina e fornirà immagini delle aurore. Il secondo strumento è invece KaT, Ka-Band Translator, un esperimento di radioscienza che ha il compito di studiare la struttura interna del pianeta e di mapparne il campo di gravità. Roberto Battiston, presidente dell’Asi, ha commentato con entusiasmo il successo della missione storica:
“Lo studio di Giove è anche una grande sfida scientifica e tecnologica a cui l’Italiapartecipa con due strumenti all’avanguardia grazie all’INAF e a industrie come Leonardo Finmeccanica e Thales Alenia Space. Questa missione dimostra come la comunità scientifica italiana giochi un ruolo di primissima importanza, inoltre la partnership storica con la NASA si è dimostrata una cruciale opportunità di crescita sia delle aziende che dei ricercatori italiani. Lavorare fianco a fianco con l’agenzia spaziale numero uno al mondo ha permesso un salto di qualità immenso per il sistema paese, sia per la capacità tecnologica che per il nostro capitale umano”.
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Crediti foto: NASA/JPL-Caltech