La strategia del Serengeti
Se i politici ostili alla scienza isolano un ricercatore dalla sua comunità come una zebra dal suo branco, lo sbranano, a meno che...
IL PARCO DELLE BUFALE – La custode del Parco preferisce metafore meno cruente, però nel caso delle ricerche su temi scottanti, danni del fumo, cellule staminali embrionali o cambiamento climatici, le sembra adatta quella di Michael Mann, nei panni della zebra, che i repubblicani del Congresso, nei panni dei leoni affamati, isolano dal branco sulla pianura assolata del Serengeti. Vorrebbero tuttora sbranarlo perché nel 1998 con due colleghi ha fatto questo disegnino ribattezzato “mazza da hockey”, però in bianco e nero come si usava nella preistoria, quando le riviste scientifiche erano su carta stampata e costavano un terzo rispetto a oggi:
La strada che va dalla preistoria al febbraio 2016 è lunga e accidentata, i lettori si allaccino bene gli scarponi.
Preambolo
Dal 2010, c’è un’altra zebra: Thomas Karl, direttore del National Climatic Data Center della National Oceanic and Atmospheric Agency (NOAA) negli Stati Uniti fino alla pensione nel dicembre scorso e responsabile dei suoi “prodotti climatici”. Ovvero le serie di dati su temperature, ghiacci polari, livelli del mare e altri indicatori di un riscaldamento globale che secondo i titolare della Casa Bianca è una montatura dei cinesi per rovinarlo.
Bigino tecnico che si può saltare
Nonostante reiterate correzioni gli scienziati da decenni si lamentavano della scarsa qualità dei dati, come nel caso delle temperature della superficie marina. Karl e il suo gruppo si occupavano proprio della qualità di dati come questi. Si è pescata acqua dal mare in un secchio di metallo sostituito poi con uno di tela, poi pescando quella del circuito che raffreddava i motori delle navi; nel frattempo erano cambiati pure i termometri; a cavallo del millennio le boe Argo sono state finalmente gettate nei flutti, poche per volta, ma ciascuna trasmette valanghe di dati quotidiani per il piacere sadico di complicare la statistica.
Ogni strumento di misura ha un suo caratterino, limiti, incertezze. Per paragonarne i dati occorre fare prove finestre: secchio di tela contro secchio di latta contro tubo di raffreddamento contro una splendida Argo. Trovate le divergenze, bisogna applicarle al pregresso, un secolo e mezzo di dati, un incubo.
Una volta sistemato il grezzo pregresso, si armonizza (“omogeneizza“, in gergo) con il seguito e si ricalcola da capo la tendenza climatica dell’intero data-set. Che per le temperature di superficie sono cinque: NOAA, NASA-GISS, Berkeley Earth negli Stati Uniti, JMA in Giappone, e Hadley del Met Office britannico, il più antico e glorioso. Sei contando Hadley nella versione di Cowtan & Way.
Sono prodotti da metodi statistici diversi per interpolare e tappare i buchi. Eppure le differenze sono minuscole: sui 0,03 +/-0,02 °C, stando al controllo dei controlli di qualità compiuto dalla collaborazione europea Copernicus per la quale la serie NOAA è la meno imperfetta.
Fine del bigino tecnico
Gli erbivori della NOAA raccontano bufale, ruggiscono i leoni del Campidoglio a Washington, D.C., capeggiati da Lamar Smith, il presidente della Commissione per la scienza e tecnologia della Camera assecondato da Judith “se hanno caldo si comprino condizionatori” Curry, ex professore del Georgia Tech e titolare del blog “Climate Etc.”
Fra i predatori americani, c’è una mezza dozzina di scienziati del clima con molti anni e pochi denti. Nel 2010 Roger Pielke Sr aveva provato ad azzannare Tom Karl, affermando che dall’Ottocento il riscaldamento è dovuto sopratutto all’aumento dei terreni coltivati e alla crescita delle città. Un’opinione solo sua, Karl aveva continuato a brucare sereno nella pianura.
Nel giugno 2015, con dei colleghi pubblicava su Science la sospirata correzione delle temperature marine di secchi e tubi grazie ai risultati delle strepitose Argo passate nel frattempo da una manciata ad alcune migliaia, ma senza certezze già dal titolo (grassetto della custode)
Possible artifacts of data biases in the recent global surface warming hiatus
La nuova serie divergeva dalla precedente nell’era dei secchi:
Il riscaldamento globale era minore di quello calcolato (e ricalcolato) fino agli anni Quaranta, dopodiché somigliava all’Hadley, ma era ancora più fresco che nelle altre:
Fonte: Zeke Hausfather, Berkeley Earth
Arrgh, ringhiò Lamar Smith, le temperature non aumentano dal 1999! Voglio tutte le comunicazioni private di Karl, la sua testa appesa dietro la mia scrivania, la sua pelle sul pavimento. E tutti i dati. Spiacente, rispose la NOAA, i dati sono pubblici, le opinioni private non sono fatti suoi.
Fine del preambolo
Era ottobre. Judith Curry annunciò che “whistle-blowers” della NOAA avevano prove inconfutabili delle malefatte di Karl, stava per scoppiare un Climategate 2.0.
Sabato 4 febbraio 2016, lo fece scoppiare pubblicando una lettera di John Bates, in pensione dalla NOAA dal 2014 e in cerca di lavoro. Accusava Karl di falsificazioni, abusi di potere, perversione della peer-review e granitico disinteresse per un sistema, geniale, inventato dallo stesso Bates per archiviare in 20 passaggi successivi i dati trasmessi da un satellite. Certo, li archivia con una lentezza esasperante, richiede aggiustamenti costanti e i sensori satellitari non misurano la temperatura sulla Terra. Ma con un buon contratto e anni di test…
Purtroppo il clamoroso scoop (un cliché ogni tanto ci vuole), dal quale il riscaldamento globale non sarebbe risorto, era stato rifiutato dal Washington Post.
Per fortuna nel pomeriggio usciva sul Mail on Sunday, il supplemento del quotidiano detto “Daily Fail” per la sua creatività. Era firmato dal cronista David Rose, il disinformatore preferito di Judith Curry. L’indomani veniva rilanciato da un comunicato stampa della Commissione per la scienza e la tecnica, da tweet del suo presidente, e atterrava su Breibart News, l’organo dei suprematisti bianchi.
Ma gli erbivori avevano adottato la “contro-strategia del Serengeti” sperimentata da Mann. Impugnata la tastiera occuparono web istituzionali, blog, twitter, FaceBook.
Così riuscirono a battere i carnivori sul tempo e avvisare i cronisti sgraditi al Presidente degli USA, la quasi totalità, che le frottole erano già state denunciate in una lectio magistralis impartita da ungulati di razza:
- Zeke Hausfather (Berkeley Earth)
- John Abraham (Università di St. Thomas, Minnesota) e fra altri insonni europei
- Victor Venema (Università di Bonn, WMO, Copernicus)
- and Then There’s Physics
- Jim Hunt
- Peter Thorne (Irish Climate Analysis)
Sui social, il direttore del centro di ricerca GISS della NASA, Gavin Schmidt, riscosse applausi per un tweet commosso fino alle lacrime dal grafico fornito da Bates al Mail on Sunday:
Non si sa chi abbia inserito la freccia, la precisazione in basso a sinistra e la didascalia, “corretta” dopo 24 ore di consultazioni dal povero Rose con l’aggiunta di una frase sbagliata. Neppure al vice presidente dell’Assocarboni, solito frequentre questa rubrica per invitare a leggere fantascienza, sarebbe venuto in mente che
O °C rappresenta 14 °C, la temperatura media del mondo
Non è la temperatura di sabato scorso né del 1997. L’artista anonimo/a confronta inoltre le variazioni rispetto a una temperatura media per il periodo 1961-1990 nel caso della serie Hadley, ovvero le capre, e 1901-2000 nel caso della serie NOAA che parte da una base assai più fredda, ovvero i cavoli.
Quando si applica a entrambe la media del 1961-1990, “il vistoso aumento della tendenza” notato da Rose e Lamar Smith tende a zero insieme alla sostanza dello scoop:
Fonte: Gavin Schmidt, colori di Zeke Hausfather
Judith Curry e John Bates hanno provato a ribadire le proprie accuse su “Climate Etc.” collezionando altre smentite sui grandi quotidiani, al Congresso e dallo stesso Bates – una prima assoluta.
Per non abusare oltre della pazienza del lettore rimasto, la custode è costretta a trascurare le più piccanti e s’avvia al
Predicozzo finale
Un articolo su Science non fa primavera e Nullius in verba, per dirla con la Royal Society. Gli scettici in buona fede forse ricordano che nel 2016, Fyfe et al. pensavano di aver trovato un “bias” nella serie della NOAA. Era un artefatto dei pochi anni che avevano analizzato, come mostrano tre ri-analisi più recenti:
- una di Victor Venema per la collaborazione Copernicus che secondo John Bates usa i metodi più affidabili e se lo dice lui…
- una di Phil Jones, curatore della serie Hadley-CRU
- una di superstar reclutate da Berkeley Earth, un ente di ricerca privato fondato nel 2010 dal fisico “scettico” Richard Muller. All’inizio Judith Curry ne faceva parte, ne aveva pure firmato i risultati preliminari. Confermavano l’impennata della “mazza di hockey” di Michael Mann e non glielo perdona.
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