La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco
Missine, granchi pistoleri, tenrec e isopodi mangialingua: il libro di Matt Simon è un compendio di creature straordinarie (e a volte un po' inquietanti)
LIBRI- Cono geografico sembra il nome di una bussola uscita da un romanzo fantasy, o di qualcosa che potreste trovare nella cabina di un capitano pirata. Invece si tratta di un mollusco sofisticato e pericolosissimo, che manda in coma ipoglicemico i pesci per poi arpionarli e mangiarne a bizzeffe. Vi sentite al sicuro? Vi capisco, d’altronde non siete pesci. Ma vi sbagliate.
Era il 1935 quando un uomo, al largo di un’isola della Grande barriera corallina, prese in mano una splendida conchiglia. Tenendola sul palmo “iniziò a grattare via la sottile cuticola che la rivestiva. Questo però non piacque troppo all’animale [avete indovinato? sì, era un cono geografico], che sparò il suo arpione velenifero nel palmo dell’uomo. Così incominciò l’intorpidimento. Dieci minuti dopo le labbra dell’uomo divennero dure e dopo altri dieci minuti la vittima incominciò a vedere doppio. Mezz’ora dopo, le gambe erano paralizzate e l’uomo cadde in coma. Dopo altre quattro ore morì”. Era tra i primi a cader vittima del cono, ma non sarebbe stato l’ultimo.
Tutti i coni sono velenosi – lo sa bene chi, avvicinandosi alle immersioni subacquee, si sarà sentito dire che non è una buona idea raccogliere quelle deliziose, striate conchiglie variopinte – ma il Conus geographus è solo una delle straordinarie creature che incontrerete nel libro La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco. Le più bizzarre soluzioni evolutive ai problemi della vita del giornalista scientifico Matt Simon, appena uscito nell’edizione italiana (Raffaello Cortina Editore, 290 pagine, 24 €).
Detto che non guarderete più il mare, né l’aria, né una semplice foglia con gli stessi occhi, il libro di Simon è una vera e propria lettura perfetta per l’estate. Animale dopo animale non vedrete l’ora di scoprire i segreti di tutte le ingegnose creature che, tra veleni, dieta a base di gonadi, parassitismo e confortevoli alloggi nell’ano o nella bocca di altri animali, hanno trovato modi creativi per sopravvivere e riprodursi. Dalla primissima di cui si parla, l’antechino (una nostra vecchia conoscenza), fino all’ultima, la cimice assassina, passando per tenrec, gamberi pistoleri, formiche zombie, pesci luna, missine e e vespe parassitoidi.
E non è da escludersi che qualcuna di queste creaturine l’abbiate pure incontrata. Come è capitato alla sottoscritta, che dalla bocca di un’orata, qualche anno fa, ha visto spuntare un isopode mangialingue. Che come dice l’autore, la cui scrittura è brillante e mai noiosa, si chiama mangialingue per un buon motivo.
Questo simpatico crostaceo (Cymothoa exigua) entra dalle branchie dei pesci, trova una posizione comoda e si piazza sulla lingua, divorandola e prendendone il posto. Sì, avete capito bene: l’isopode, che somiglia un po’ a un incrocio tra Alien e un Kakuna, diventa lui stesso la lingua del pesce. Gli esemplari di C. exigua sono tutti maschi e, quando entrano nei pesci, trovandoli disabitati rimangono tali. Se invece all’interno dell’ospite vi fosse già un altro maschio, tutto è già predisposto per un rapido cambio di sesso. Il vecchio inquilino diventa femmina, perde gli occhi e la capacità di nuotare, garantendosi però la possibilità di riprodursi. Sarebbe un peccato se, fatta così tanta fatica, nella bocca del pesce si ritrovassero due maschi o due femmine!
Ma l’ingegno non finisce qui: quando la femmina è pronta per rilasciare i piccoli, si assicura di farlo solo se il suo ospite è circondato da un banco di altri pesci, in modo che la progenie trovi subito casa. Svolti i doveri materni si lascia inghiottire (l’ospite, dal canto suo, finirà per morire di fame) o sbuca dalla bocca del pesce e sprofonda nell’oceano. Una vita da invidiare, scrive Simon: alloggio gratis e vista stupenda. Basta spuntare dalla bocca del povero pesce, ben meno invidiabile.
Un altro interessante e poco noto protagonista del libro è il topo dalla criniera, Lophiomys imhausi, un roditore simile a una strana e soffice puzzola, dotato di peli speciali che riveste di corteccia velenosa masticata. Cosa accadrebbe a un aggressore che provasse a mangiarselo? Proprio quello che pensate: un sapore terribile e il potenziale rischio di una spiacevole morte.
Per rendere a prova di morso il proprio pelo, il topo dalla criniera ha scelto una pianta soprannominata “la grande mietitrice”. Si tratta di una specie considerata la pianta velenosa nazionale del Kenya, Acokanthera schimperi, usata per avvelenare le frecce, le lance e le trappole proprio grazie al suo temibile potenziale, in grado di uccidere grossi animali causando un attacco cardiaco. Il topo dalla criniera mastica la corteccia e applica la saliva micidiale su dei peli particolari che crescono sui suoi fianchi, e che esibisce solamente quando è minacciato.
Ma una domanda sorge spontanea. Come fa a non morire avvelenato lui stesso, masticando tutta quella corteccia? Nessuno lo sa con certezza, scrive Simon, ma tra le ipotesi c’è che nelle sue enormi ghiandole salivari vi sia una proteina in grado di legare l’ouabaina, il composto responsabile della tossicità di A. schimperi. Altrettanto probabile è che nel suo apparato digerente vi siano altri stratagemmi pensati per non farlo morire, ad esempio nel caso ingerisse, mentre prepara la sua tintura letale masticando, un pezzetto di corteccia.
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