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L’innovazione comportamentale dei primati

Come fa un primate, che dal punto di vista evolutivo e comportamentale condivide moltissimo con l’uomo, a “inventare” nuovi comportamenti?

“I cebi cappuccini sono organizzati in società complesse e strutturate, che li rendono un soggetto molto interessante per l’osservazione scientifica.” Crediti immagine: Wikimedia Commons

RICERCA – Sia nell’uomo sia negli animali tutti i comportamenti, dai più semplici ai più strutturati, sono essenzialmente meccanismi evolutivi che permettono all’individuo di ottenere maggiori possibilità di sopravvivenza. Ma come fa un animale – nello specifico un primate, che dal punto di vista evolutivo e comportamentale condivide moltissimo con l’uomo – a “inventare” nuovi comportamenti? E come mai alcuni di essi vengono adottati dagli altri membri della comunità, mentre altri vengono accantonati?

Per rispondere a queste domande due gruppi di ricerca dell’UCLA hanno analizzato le interazioni sociali di un gruppo di cebi cappuccini, chiassosi primati diffusi in molte aree del Sud America.
In uno studio, pubblicato sui Proceedings dell’Academy of Sciences degli Stati Uniti, la Professoressa Susan Perry e i suoi colleghi hanno dimostrato che sono i cebi più anziani, dalle già spiccate doti sociali, a inventare nuovi comportamenti di interazione sociale (che possono spaziare da veri e propri “test dell’amicizia” tra primati, a dimostrazioni di forza nei confronti di possibili avversari, o ancora a comportamenti ludici e nuove forme di interazione sessuale). D’altro canto, sono gli individui più giovani a produrre nuovi, innovativi comportamenti legati all’abilità dei cebi di interagire con il mondo circostante per procurarsi il cibo, o per utilizzare alcuni elementi con cui i primati entrano in contatto come primitivi utensili.

L’antropologa e il suo team collezionano da anni i dati comportamentali dei cebi, tracciando le attività quotidiane di oltre 200 individui che vivono in 10 distinte comunità distribuite nella foresta puviale della Costa Rica. Il gruppo di ricerca ha potuto così registrare e classificare circa 250 comportamenti tipici di questa specie, trasformandoli in data-point che permettessero un modellamento di tipo statistico.
Usando questo rigido protocollo di registrazione, classificazione e analisi Perry è riuscita a capire quali fossero i nuovi comportamenti, se e come essi si diffondessero all’interno del gruppo e quali cebi fossero i responsabili di tale disseminazione.

I comportamenti sono quindi stati suddivisi in quattro categorie: sociali, di ricerca del cibo, rivolti verso sé stessi o investigativi. I ricercatori hanno potuto così identificare 187 comportamenti innovativi, di cui però l’80% erano “unici” (cioè non sono stati ripetuti dall’individuo, o trasmessi ad altri). Negli anni Perry ha registrato scene piuttosto singolari: scimmie che, per gioco, lanciavano dei cuccioli in aria, per poi riprenderli al volo come abili giocolieri; un’altra ha preso la mano di una compagna e l’ha usata per grattarsi la testa; altre hanno accarezzato animali di specie diverse (come formichieri o porcospini) o si sono messe a giocare con la sabbia, come bambini al mare.

In un altro studio, pubblicato sui Proceedings della Royal Society of Biological Science, Brendan Barrett (non a caso un ex-allievo della Perry) ha documentato come un gruppo di cebi è in grado di imparare un nuovo comportamento: nello specifico il ricercatore ha osservato i primati alla prese con l’apertura di un frutto (quello della sterculia, detta “albero di Panama”) i cui semi, commestibili, sono ricoperti da uno guscio molto duro.
Un mix di tecniche di apprendimento, a base sociale e non, si è diffuso all’interno del gruppo a mano a mano che le scimmie acquisivano esperienza in questo nuovo compito: il gruppo di ricerca di Barrett ha infatti osservato che la maggior parte dei cebi ha adottato la tecnica più efficiente di apertura del frutto tra quelle sperimentate; ciò è avvenuto anche se l’individuo che ha “inventato” la tecnica vincente – Napoleone- non apparteneva all’élite sociale della comunità.
“Per le scimmie – spiega uno degli autori– è molto più importante il vantaggio prodotto da un comportamento, piuttosto che il prestigio sociale di chi propone una nuova strategia. Questo vale per il procacciamento del cibo, ma ci potrebbero essere domini comportamentali in cui l’interazione sociale e l’apprendimento delle dinamiche inter-individuali rivestono un ruolo maggiore”.

“I cebi cappuccini – osserva invece la professoressa Perry – sono organizzati in società complesse e strutturate, che li rendono un soggetto molto interessante per l’osservazione scientifica. Osservare nello specifico queste società non umane, capendo il modo in cui innovano e imparano, ci ricorda che non siamo l’unica specie sul pianeta dotata di emozioni e personalità; che non siamo gli unici ad avere amici e nemici, o a instaurare rapporti sociali e culturali che vadano al di là della semplice parentela”.

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Marcello Turconi
Neuroscienziato votato alla divulgazione, strizzo l'occhio alla narrazione digitale di scienza e medicina.