SCOPERTE

Le (nuove) origini dell’uomo moderno

Secondo l'ipotesi più accreditata, l'uomo moderno si sarebbe evoluto in Africa e poi avrebbe raggiunto l'Asia e l'Australia attraverso una singola ondata migratoria avvenuta circa 60.000 anni fa. Ma nell'ultimo periodo, lo sviluppo di nuove tecnologie di analisi del DNA e di altre tecniche di identificazione dei fossili e i risultati ottenuti da ricerche multidisciplinari, mettono in dubbio questo modello.

Si sono presumibilmente verificate diverse ondate migratorie: la prima, risalente a 120.000 anni fa, sarebbe stata seguita da una più estesa, avvenuta circa 60.000 anni dopo. Crediti immagine: Bae et al. 2017. On the origin of modern humans: Asian perspectives. Science. Image by: Katerina Douka and Michelle O’Reilly

SCOPERTE – Una review, condotta dai ricercatori del Max Planck Institute for the Science of Human History e della University of Hawaii di Manoa conferma che la teoria della migrazione dall’Africa (in inglese, Out of Africa) non può essere considerata come una ricostruzione completa. L’analisi, pubblicata su Science, tiene conto delle ricerche condotte negli ultimi anni, rese possibili grazie agli sviluppi tecnologici, e afferma che l’Homo Sapiens avrebbe raggiunto regioni dell’Asia distanti dal continente africano e sarebbe arrivato in Oceania molto prima rispetto a quanto ritenuto finora.

Fossili di H. Sapiens rinvenuti in vari siti della Cina meridionale e centrale, ad esempio, sono stati datati tra 70.000 e 120.000 anni fa. Anche nel sud-est asiatico e in Australia sono stati trovati resti risalenti a periodi precedenti. Studi genetici, tuttavia, confermano che le attuali popolazioni non africane derivano da uno stesso ceppo africano, che si sarebbe diviso circa 60.000 anni fa. In base a questi elementi si ipotizza quindi che si siano verificate diverse ondate migratorie: la prima, risalente a 120.000 anni fa, sarebbe stata seguita da una più estesa, avvenuta circa 60.000 anni dopo. L’esodo più recente avrebbe contribuito in maniera predominante al patrimonio genetico delle popolazioni non africane, ma anche la prima migrazione avrebbe lasciato delle tracce, seppur minori, nel DNA.

La storia evolutiva della nostra specie è inoltre complicata dall’incrocio avvenuto con altri ominini presenti in Asia. Le ricerche genetiche più recenti hanno confermato questa ipotesi: gli incroci sarebbero avvenuti non solo con l’uomo di Neanderthal ma anche con l’uomo di Denisova, e con altre popolazioni di ominini non ancora identificate. Secondo quanto riporta uno studio del 2010, le popolazioni non africane avrebbero nel loro genoma un’eredità neanderthaliana pari al 1-4%. In base alle ricerche condotte da un altro gruppo, invece, nei malesiani il 5% dei geni deriverebbe dall’uomo di Denisova. Da queste evidenze emerge l’idea che le popolazioni di ominini abbiano convissuto negli stessi spazi e negli stessi periodi e che si siano verificati vari incroci tra specie diverse.

Alla luce di queste scoperte, la ricostruzione della storia dell’uomo appare molto più complessa di quanto atteso. Secondo gli autori, per sviluppare modelli più completi sulle migrazioni sarà fondamentale svolgere nuove ricerche nelle regioni dell’Asia che non sono state ancora studiate. Negli ultimi anni, infatti, proprio dai programmi di ricerca dedicati ai fossili asiatici – e in particolare a quelli cinesi – arrivano indicazioni che potrebbero aiutare a “riscrivere il libro delle origini dell’uomo”.

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Francesca Camilli
Comunicatrice della scienza e giornalista pubblicista. Ho una laurea in biotecnologie mediche e un master in giornalismo scientifico.