Smartphone e turchi meccanici
Una overview su alcune delle principali applicazioni di intelligenza artificiale che in futuro arriveranno sui nostri smartphone. Alcune di esse sono ispirate ad automi, o presunti tali, che risalgono a secoli fa
TECNOLOGIA – L’introduzione di tecnologie e sistemi avanzati nel campo dell’intelligenza artificiale sta determinando una vera e propria rivoluzione nella società odierna, pervadendone in maniera sempre più profonda ogni aspetto dai trasporti alla sanità, dall’automazione industriale all’intrattenimento: OggiScienza ha affrontato spesso questo tema.
Particolarmente interessanti risultano le applicazioni di AI sugli smartphone, vista la massiccia diffusione e l’utilizzo intensivo di questi amatissimi (e, talora, odiatissimi) dispositivi, divenuti nell’ultimo decennio delle presenze irrinunciabili nella vita di tutti i giorni. Il panorama in questo ambito è molto variegato e alcune tipologie di applicazioni vantano già una storia e una tradizione di diversi decenni, sebbene al principio avessero veste e forma molto diverse da quelle attuali.
Parliamo dei cosiddetti assistenti virtuali, presenti ormai su gran parte degli smartphone, che si basano su tecniche di riconoscimento vocale sviluppate già a partire dagli anni ’60 del secolo scorso: il primo sistema in grado di catturare e tradurre il parlato in informazioni da elaborare, IBM Shoebox , risale al 1962. Questo apparato rudimentale aveva una capacità limitata rispetto ai sistemi odierni – era in grado di riconoscere solamente 16 parole e le cifre da 0 a 9 – ma costituisce a pieno titolo una prima applicazione funzionante di tecnologia base per la realizzazione degli assistenti virtuali, il cui primo e probabilmente più famoso esempio è Siri di Apple, introdotto come funzionalità sull’ iPhone 4S nel 2011. Da allora, sistemi di questo tipo hanno subito una accelerazione tecnologica assai significativa e si sono diffusi praticamente su tutti i dispositivi mobili di vari costruttori, con modalità di interazione differenziate (testo, immagini, voce etc.). Parliamo dei vari Amazon Alexa, di Samsung Bixby su Samsung Galaxy S8, o dell’assistente Google disponibile su gran parte dei dispositivi Android.
Quali sono le principali tecniche sfruttate da questi sistemi? Anzitutto il cosiddetto Natural Language Processing (NLP), che consente di trovare le migliori corrispondenze tra il testo o l’input vocale dell’utente per generare comandi eseguibili dal dispositivo, e dell’ormai quasi onnipresente machine learning (abbiamo dedicato ampio spazio sia al primo che al secondo).
Gli assistenti virtuali non sono le uniche applicazioni AI presenti sui nostri dispositivi mobili: infatti, come evidenziato in questo report di Gartner, la nota società leader mondiale nel settore della consulenza tecnologica, saranno almeno una decina gli utilizzi innovativi di algoritmi di AI su smartphone, inclusi i già citati strumenti per la comprensione del parlato. Ad esempio il cosiddetto emotion recognition: una funzionalità che consentirà agli smartphone di rilevare, analizzare e reagire in modo appropriato agli stati d’animo e agli umori dell’utente, per proporre contenuti o per aumentarne la sicurezza, come nelle applicazioni di monitoraggio della stanchezza del conducente di un veicolo.
O le sempre più diffuse funzioni per la realtà aumentata, che consente di arricchire la percezione umana aggiungendo o modificando immagini alle scene della vita reale. Applicazioni, queste, già presenti da tempo sia su smartphone che su altri dispositivi: basti pensare alle funzionalità anti-fatica installate su molti veicoli o alle audioguide per arricchire la visita di un sito archeologico o di un museo, come quelle fornite nella celeberrima Casa Batlló di Barcellona.
La grossa novità, secondo Gartner, sarà l’enorme diffusione delle applicazioni: nel report si stima che entro il 2022 l’80% dei dispositivi mobili sarà munito di funzioni basate su algoritmi di AI, contro il 10% del 2017. Già da qualche anno nella letteratura scientifica e tecnica c’è una vera e propria proliferazione di possibili tecnologie e applicazioni: in questo articolo del 2017, ad esempio, si descrive l’impiego di algoritmi di deep learning, che possono essere eseguiti su comuni chip di uno smartphone, per potenziare le caratteristiche di robot, droni e veicoli autonomi per le applicazioni più avanzate, come quelle aerospaziali della NASA.
Inoltre, già nel 2014, in questo articolo dal titolo suggestivo “Artificial Intelligence Model of an Smartphone-Based Virtual Companion” viene descritta un’applicazione su smartphone in grado di replicare virtualmente un companion: sì, proprio un accompagnatore o un partner, che possa rilevare l’umore, anticipare le richieste e conversare con il suo proprietario umano, come nel film Her di Spike Jonze. A distanza di pochi anni, tuttavia, queste prospettive appaiono già limitate, visto l’enorme impulso all’innovazione nel settore: infatti, molto probabilmente nei prossimi tempi non solo saranno disponibili companion virtuali su smartphone, ma ci saranno anche modalità di interazione molto più sofisticate di quelle messe a disposizione da un semplice touch screen o da un’interfaccia vocale. La già citata realtà aumentata, ad esempio. O una sempre crescente interazione o cooperazione con gli umani.
Già oggi si intravedono degli sviluppi: come descritto in questo articolo, infatti, ci si sta spostando verso una nuova frontiera nell’utilizzo di assistenti virtuali, come Siri, Alexa e Cortana. Funzionano molto bene quando le richieste dell’utente sono semplici, ma fanno molta più fatica quando le domande diventano articolate o quando si tenta di avviare una interazione simile ad una conversazione con un umano. Come ovviare a questo problema? Ci ha pensato un team di ricerca della Carnegie Mellon University che, sfruttando un servizio messo a disposizione da Amazon denominato Mechanical Turk, ha sviluppato Evorus, un chatbot (un automa in grado di conversare) che, per rispondere a questioni complesse si avvale del supporto di operatori umani (crowd workers): è possibile, per chi volesse farsi un idea del suo funzionamento, testarlo direttamente su questo sito.
Solo come annotazione, il nome Mechanical Turk non è affatto casuale, visto che fa riferimento al cosiddetto turco meccanico del Barone Von Kempelen, un automa creato nel 1769 che, a detta del suo costruttore era capace di giocare a scacchi e competere con i campioni dell’epoca. Peccato che, in realtà, al suo interno fosse segretamente alloggiato un uomo di bassa statura, ottimo giocatore di scacchi, in grado di vedere le mosse dell’avversario sulla scacchiera e azionare un sistema di leve e comandi per rispondere mossa su mossa. Una prospettiva, questa, dai risvolti piuttosto inquietanti: vedere capovolto il rapporto tra umani e macchine, con i primi ad eseguire, on-demand, compiti richiesti alle seconde.
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