Addio a Folco Quilici
Ci ha lasciati un pioniere della divulgazione, che per tutta la vita ha ispirato naturalisti, viaggiatori e sognatori di tutto il mondo con i suoi documentari e libri
ATTUALITÀ- Sono in tanti a essere debitori nei confronti di Folco Quilici: almeno due generazioni di naturalisti, sub, viaggiatori o semplici sognatori, in Italia e all’estero, sono cresciute guardando i suoi documentari o leggendo i suoi libri. Regista, sceneggiatore, fotografo e scrittore, Quilici è stato un pioniere della divulgazione, quella vera, costruita mettendo insieme indagine antropologica, ricerca scientifica e costruzione narrativa. Nelle sue opere è presente una visione al contempo razionale e poetica, oggettiva ma profondamente personale, dell’uomo e del suo rapporto col mare e con la natura nella sua globalità.
Con la sua capacità di scandagliare i luoghi del mondo cogliendo nel profondo le connessioni fra uomo e natura, Folco Quilici ha dato un contributo fondamentale alla nascita e alla diffusione della cultura ambientalista. In un’epoca nella quale non esistevano ancora i voli low cost e il turismo di massa, grazie al suo lavoro in tanti hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con realtà naturalistiche e culturali “altre”, spesso del tutto sconosciute. Gli italiani hanno scoperto, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, luoghi esotici e lontani, ma hanno imparato anche ad aprire gli occhi sulle meraviglie e le bellezze della loro terra. Folco Quilici è morto il 24 febbraio 2018 all’età di 87 anni. È stato un intellettuale, nell’accezione più vera e profonda del termine. Lascia all’Italia e al mondo un’immensa eredità culturale, da preservare e studiare negli anni a venire.
Folco Quilici nasce a Ferrara nel 1930, figlio del giornalista e storico Nello Quilici e della pittrice Emma Buzzacchi. Nel giugno del 1940, pochi giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il padre muore in un incidente aereo mentre sorvola su un trimotore, assieme a Italo Balbo e ad altre sette persone, la città libica di Tobruk. L’aereo è colpito dalla contraerea italiana in circostanze mai del tutto chiarite. Folco all’epoca ha appena dieci anni e questo evento lo segna profondamente. 64 anni dopo, nel 2004, dedicherà un libro al racconto della tragedia. Nell’autunno del 1940 si trasferisce con la madre e il fratello più piccolo in un casolare in provincia di Bergamo. Incredibilmente è lì, nelle campagne della bergamasca, che incontra per la prima volta il mare. Lo fa attraverso la lettura, grazie a un racconto avventuroso intitolato “Venti mesi a caccia di balene”. Qualche anno dopo, ormai adolescente, trascorre una delle più belle estati della sua vita a Lèvanto, in Liguria, ospite di uno zio. In quel luogo il mare diventa una presenza reale e tangibile. Nasce un legame fortissimo, che non si spezzerà mai.
Nel 1945 la famiglia si trasferisce a Roma. Dopo il liceo, Quilici si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il suo saggio di ammissione, che gira nel 1949, è un piccolo documentario sui fondali marini della Sardegna, intitolato “Pinne e arpioni”. Tra il 1952 e il 1953 ha l’opportunità di partecipare alla Spedizione Subacquea Nazionale nel Mar Rosso organizzata dal naturalista Bruno Vailati. Il risultato è “Sesto continente”, primo documentario subacqueo a colori nella storia della cinematografia italiana. Nel 1954 il film ottiene il Premio Speciale alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia. Per molti italiani “Sesto continente” rappresenta il primo vero contatto visivo con luoghi lontani, fino a quel momento solo immaginati. Nel documentario il Mar Rosso è mostrato in tutta la sua grandiosa bellezza, con i suoi colori intensi e le affascinanti ed esotiche creature marine che lo popolano. È una porta spalancata su un mondo più vasto, a suo modo una piccola rivoluzione culturale.
E questo non è che l’inizio. Nel corso di oltre sessant’anni di carriera, Quilici gira altri importanti lungometraggi per il cinema, scrive decine di libri, realizza centinaia di documentari naturalistici e culturali per la televisione e documenta la sua attività attraverso migliaia di splendidi scatti fotografici. Una produzione intensissima e sterminata.
Nel 1957 gira “L’ultimo paradiso”. Il film, Orso d’argento al Festival di Berlino, è al tempo stesso un documentario naturalistico, un racconto d’avventura e un saggio antropologico per immagini. Ambientato nelle isole del Pacifico meridionale, il lungometraggio non si limita a mostrare la bellezza mozzafiato di quei luoghi ma racconta anche la quotidianità delle popolazioni indigene, inserendola in un contesto narrativo dal forte impatto emotivo. Quattro anni dopo esce nelle sale “Ti-Koyo e il suo pescecane”, non un documentario ma un’opera di fantasia, Premio Unesco per la Cultura nel 1961. La storia è tratta da un romanzo di Clément Richer, adattato da Italo Calvino. Oltre all’adattamento, Calvino scrive con Quilici la sceneggiatura del film. Girato interamente su alcuni isolotti delle isole Tuamotu, nella Polinesia Francese, Ti-Koyo racconta la storia dell’amicizia speciale tra un ragazzo e un piccolo squalo tigre. Pur avendo i toni leggeri della favola, il film contiene un importante messaggio ambientalista. L’atmosfera, al contempo lucida e onirica, sospesa tra l’avventura e il sogno, ricorda quella che si trova nelle storie di Corto Maltese.
Hugo Pratt e Folco Quilici, pur usando mezzi espressivi tanto diversi, condividono lo stesso retroterra culturale, le stesse idee sul rapporto tra l’uomo e il mare, la stessa visione del mondo. Sarà proprio Quilici – alcuni anni dopo, leggendo “Una ballata del mare salato” – a notare le affinità fra lui e Pratt. “Scoprivo qualcuno che amava l’avventura; che creava avventure, in equilibrio fra l’uomo e lo spazio, lo spazio degli oceani, lo spazio dei deserti. Anche «lui» aveva saputo degli squali amici: la favola polinesiana delle Tuamotù, delle Cook, delle Gilbert. […] Anche lui, forse, era stato negli Atolli, nelle Isole Alte; anche lui aveva visto i moai di Pasqua, ascoltato i racconti dei vecchi ruàu.” Per anni Quilici coltiverà il sogno di realizzare un film su Corto Maltese ma Pratt – geloso del suo personaggio – dirà sempre di no.
Tra il 1966 e il 1978 Quilici realizza “L’Italia vista dal cielo”, una serie di quattordici trasmissioni dedicate all’Italia in cui per la prima volta le bellezze del nostro Paese sono filmate dall’alto. Gli episodi sono realizzati utilizzando l’Helivision, strumento per l’epoca avveniristico in grado di attenuare le vibrazioni prodotte dalle cineprese all’interno dell’elicottero. Ogni puntata è dedicata a una diversa regione italiana. Prima della messa in onda dei singoli episodi, vengono organizzate proiezioni nei più importanti teatri dei capoluoghi italiani, da La Fenice di Venezia al Massimo di Palermo. Ciascun episodio contiene contributi di alcuni tra i più importanti intellettuali del tempo, tra cui Mario Praz, Leonardo Sciascia, Guido Piovene, Mario Soldati, Ignazio Silone. Tradotta in varie lingue, la serie viene vista negli Stati Uniti, in Cina, in Australia. Diviene subito un successo internazionale. Nel 1971 uno degli episodi, “Toscana”, ottiene una nomination agli Oscar.
Negli anni successivi Quilici realizza moltissimi altri lavori riuscendo – è questa la cosa che colpisce di più – a non essere mai ripetitivo o banale. Le sue opere colpiscono per la loro originalità e profondità, grazie anche all’intelligenza con cui il regista sceglie le persone con cui collaborare. Nel corso della sua lunghissima carriera lavora con alcuni tra i più importanti letterati, storici, archeologi e antropologi del tempo. Tra questi lo storico francese Fernand Braudel, che firma la direzione scientifica di “L’uomo europeo” – serie in otto puntate realizzata alla fine degli anni Settanta, alla cui realizzazione contribuiscono anche Claude Lévi-Strauss e Jorge Luis Borges – e l’archeologo Sabatino Moscati, con cui Quilici negli anni Ottanta realizza “Mare Museo” e “Fenici, sulle rotte di porpora”, due serie dedicate alle scoperte e alle conquiste dell’archeologia subacquea.
Profondo conoscitore e amante del mare, Quilici si spende attivamente per la conservazione della biodiversità negli ecosistemi marini e costieri, la creazione e la valorizzazione di aree protette, lo sviluppo sostenibile. Non solo attraverso i suoi documentari e i suoi libri, ma anche promuovendo iniziative e attività concrete nel nostro Paese. Nel 1985 è tra i soci fondatori dell’associazione Marevivo, nata con lo scopo di diffondere una corretta educazione ambientale e salvaguardare le specie animali e vegetali che popolano i nostri mari. In diverse occasioni collabora col Ministero dell’Ambiente. Dal 2003 al 2006 è stato presidente dell’ICRAM, ente pubblico per la promozione di attività di ricerca in materia di tutela e difesa delle qualità delle acque marine e costiere.
Non sorprende che nel 2006 Forbes, la celebre rivista statunitense di economia e finanza, abbia inserito Quilici tra i cento autori più influenti del mondo. Con le sue opere, oltre a far conoscere popoli e luoghi vicini e lontani, ha contribuito in maniera sostanziale alla nascita di una nuova cultura ecologista, costruita attorno a una visione del mondo al cui centro si trova il legame profondo e inestricabile tra uomo e natura.
crediti immagini: principale Folco Quilici – http://folcoquilici.com/en/biografia.html Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0 / slider Associazione amici di Piero Chiara – quilici 5 Wikimedia Commons CC BY-SA 2.0
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