Come Frankenstein è diventato Frankenstein. Un viaggio nel mito
Uno sguardo al saggio "Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario" di Marco Ciardi e Pier Luigi Gaspa, edito da Carocci Editore.
STRANIMONDI – Il 28 marzo qui su Stranimondi abbiamo parlato di Frankenstein con un’intervista a Chiara Valerio, autrice del radiodramma Frankenstein serial. La creatura ha ancora bisogno di amore. Come potete vedere, a corredo dell’intervista campeggia l’iconico volto dell’attore inglese Boris Karloff nei panni della Creatura, tratto dal film Frankenstein diretto da James Whale del 1931. Karloff è l’immagine, l’icona, il ritratto, di più, è la Creatura. Questo è solo degli aspetti del mito del Frankestein di Mary Wallstonecraft Godwin, più nota come Mary Shelley, indagati nel saggio Frankenstein. Il mito tra scienza e immaginario di Marco Ciardi e Pier Luigi Gaspa, edito da Carocci Editore. Uno storico della scienza (Ciardi) e un biologo appassionato di comunicazione e in particolare di fumetti (Gaspa) vanno all’origine della storia di Frankenstein, ne indagano l’evoluzione e il progressivo espandersi verso tante altre forme artistiche. Gli autori partono dalle influenze culturali, letterarie e scientifiche in mezzo alle quali Shelley viveva e dalle quali ha preso inevitabilmente spunto per scrivere il suo capolavoro. I due autori poi seguono i decenni tra Ottocento e Novecento fino ad approdare ai giorni nostri, indagando il perché Frankenstein abbia avuto questo clamoroso successo e il perché sia diventato un classico immortale della letteratura gotica, precursore della fantascienza e continua fucina di ispirazione per gli horror di oggi. La risposta è complessa, e richiede un’analisi a tutto tondo fra letteratura, storia, teatro e cinema.
La Creatura conquista il teatro
Ciardi e Gaspa individuano nell’opera teatrale Presumpion! or The Fate of Frankenstein del 1823 diretta dal regista Richard Brinsley Peake il vero punto di partenza del mito di Frankestein. Il libro era uscito cinque anni prima (1818), e aveva avuto un buon impatto di pubblico, ma nulla di memorabile. Lo spettacolo debuttò a Londra il 28 luglio 1823. Dal titolo, urlato e un po’ moralista, già si evince che la traduzione teatrale dell’opera di Shelley metteva al centro la hybris dello scienziato. Victor Frankenstein infatti oltrepassa le colonne d’Ercole della morale e della continenza al fine di perseguire un obiettivo troppo grande, più adatto a un dio che a un uomo, ovvero tracciare il confine tra ciò che è inanimato e ciò che è vivo. Lo spettacolo riscuote uno straordinario successo e consegna a Thomas Potter Cooke, il primo a interpretare la Creatura a teatro, il ruolo che nel Novecento sarà di Karloff: ovvero, quello di essere l’alter ego del Mostro, il rimando concreto all’immaginazione gotica di Mary Shelley. Dalla locandina possiamo supporre che la Creatura fosse ben diversa da quella di Karloff: quello di Presumption! era dipinto come un essere umano abbastanza normale, semplicemente molto alto e possente, con un aspetto vagamente ispirato alle statue della Grecia antica.
Tradurre è tradire
Presumption! poi inizia quell’operazione molto comune anche oggi quando un film mette in scena un libro, cioè la traduzione. E tradurre è tradire, ricordano gli autori: un tradimento inevitabile, perché letteratura e teatro, così come il cinema, viaggiano su piani diversi. Ecco che a teatro viene introdotto il servitore di Victor Frankenstein, di nome Fritz, non presente nel libro ma poi figura legata a doppio filo allo scienziato e quasi sempre presente tra teatro e cinema. Al film di Whale del 1931, poi, si deve poi l’aggiunta al personaggio della deformità fisica dell’assistente dello scienziato, che arriverà a essere parodiata nel più celebre dei servitori, ovvero Igor, interpretato da Marty Feldman nel film Frankenstein Junior di Mel Brooks. Quel film è una tappa fondamentale nella storia narrata da Ciardi e Gaspa, che dedicano diverse pagine a ricostruire il successo di questa pellicola e di altre opere, anche teatrali, che proponevano una parodia della storia di Frankenstein. Anche perché, ricordano i due autori, parodie e farse sono spesso la certificazione del successo di un personaggio o di una narrazione.
L’approdo al cinema
Ciardi e Gaspa raccontano che nel Novecento il cinema si fa ben presto accogliente per la storia di Shelley: nel 1910 viene girato un film di 13′, muto, in cui l’attore Charles Ogle dà per la prima volta corpo alla Creatura sul grande schermo. La durata limitata e la mancanza di dialoghi riduce al minimo l’intreccio e gli sviluppi. Molto significativo è l’epilogo, completamente stravolto con un inaspettato lieto fine. Cinque anni dopo è il turno di Life without Soul (altro titolo “parlante”, come già accaduto con Presumption!), poi nel 1920 ecco la pellicola italiana Frankenstein diretta da Eugenio Testa, film andato perduto. Questa trilogia degli anni Dieci prepara poi il grande successo della trilogia degli anni Trenta, che ha proprio nel Frankenstein di Whale il capostipite.
Gli anni trenta, ricordano gli autori, hanno portato in dote al cinema il sonoro: un’acqusizione fondamentale nelle pellicole gotiche e dell’orrore. Questa trilogia, secondo gli autori, condizionerà ogni arte visiva nei decenni a venire, dettando stilemi e interpretazioni tutt’ora in voga. Trasforma la Creatura nella Creatura che vediamo e pensiamo oggi quando sentiamo il riferimento al Mostro di Frankenstein. Merito della natura che ha dotato Karloff della sua fisicità, ma non solo. Ciardi e Gaspa raccontano nel dettaglio come il truccatore Jack Pierce abbia pazientemente e scrupolosamente creato una maschera perfetta su Karloff, sfruttandone ogni centimetro della faccia, appesantendone volutamente gli occhi, costringendolo a tenerli mezzi chiusi, esaltandone l’espressività. Pierce ha realizzato un capolavoro capace di entrare nell’immaginario collettivo, creando un’icona che novant’anni dopo resiste e contagia anche altre forme d’arte. Gli autori infatti si concedono una divagazione anche nei fumetti e nei cartoni animati. Non è certo un caso: Gaspa ne è un grande appassionato e Ciardi ha già scritto sulla materia nel saggio A bordo della cronosfera.
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