IN EVIDENZASALUTE

Malati terminali: l’assistenza realmente garantita, regione per regione

Servizi offerti a macchia di leopardo, fra hospice e assistenza domiciliare, a partire dalla sedazione terminale palliativa.

A livello di Hospice le differenze regionali sono ampie, sia in termini di presenza di servizi, che di prestazioni erogate. Crediti immagine: pixabay

APPROFONDIMENTO – Nei giorni scorsi è stato pubblicato l’ultimo rapporto annuale della FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) che fa il punto sulle criticità dei servizi per il malato oncologico in Italia, compresi quelli per le cure palliative, che rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e che pertanto devono essere erogate secondo “criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza”.

Il punto di partenza è che il rapporto fra costi e benefici delle cure terminali ospedaliere è sempre troppo elevato: i costi sono infatti alti e i benefici per i pazienti e per le loro famiglie sono relativamente pochi. Si stima infatti che l’1% degli italiani assorba circa il 20% dell’intera spesa sanitaria nell’ultimo anno di vita.

Centrali sono le cure palliative, non sempre garantite, sia a livello di hospice che di assistenza domiciliare, dato testimoniato dal fatto che il tasso dei decessi in ospedale è ancora molto elevato. Già nel 2007 il Decreto Ministeriale 43 aveva posto l’obiettivo di garantire l’accesso alle cure palliative ad almeno il 65% dei malati oncologici. A 10 anni di distanza siamo intorno al 30%.

A livello di Hospice le differenze regionali sono ampie, sia in termini di presenza di servizi, che di prestazioni erogate. Se complessivamente la “buona notizia” è che dal 2012 al 2016 il numero di posti letto e di strutture con hospice è leggermente aumentato a livello nazionale, ci sono regioni in cui ancora questo servizio non è garantito per tutti. In Calabria per esempio si contano nel 2016 solo 0,51 posti letto in hospice all’interno di strutture ospedaliere per 100 mila abitanti. In Sardegna, quella con il tasso più alto di strutture, ce ne sono 12 per 100 mila abitanti, e in Lombardia, la seconda in classifica, 7,9 per 100 mila.

Un Rapporto al Parlamento del Ministero della Salute del 2014 sullo stato di attuazione della legge 38 del 15/3/2010 sull’accesso alle cure palliative mostra che nel 2013 sono stati assistiti 40.040 pazienti presso il proprio domicilio, di cui 34.184 con patologia oncologica. I ricoverati in hospice sono stati 27.812, pari al 5% del totale delle persone decedute nello stesso anno. Tale rapporto sale al 9% se si considerano i 15.456 pazienti ricoverati in hospice nel 2013 e deceduti a causa di tumore, rispetto ad un totale di 168.791 pazienti deceduti in quell’anno a seguito di patologia oncologica.

Anche il tipo di prestazione erogata varia moltissimo, per esempio in materia di sedazione terminale palliativa. Ci sono regioni come il Veneto e la Provincia Autonoma di Trento dove la metà degli hospice la garantiscono, altre come la Campania e la Calabria dove a garantirla non è meno del 2% delle strutture. In media al sud questo diritto è garantito meno che al nord.

Ma si riscontrano differenze profonde anche nella terapia di gestione del dolore, con percentuali che vanno dall’8% dell’Emilia Romagna al 97% del Molise, di strutture che la garantiscono.

Stessa cosa per quanto riguarda il controllo sintomi psico-comportamentali dei malati oncologici, effettuato anch’esso a macchia di leopardo. Nelle Marche, in Calabria e a Bolzano solo il 6% degli hospice garantisce questa prestazione, e in media possiamo dire che la metà delle strutture a livello nazionale faccia lo stesso.

Percentuali più alte, ma non di molto, si riscontrano sul tema del supporto alla famiglia del malato, anche se continuano a esserci regioni come Marche, Calabria, Campania e Friuli Venezia Giulia, dove questo servizio latita.

L’alternativa per i pazienti terminali è l’assistenza domiciliare, ma anche qui i tassi di presa in carico differiscono moltissimo da una regione all’altra, e in questo caso emerge un gap fra nord e sud: si passa dai 3,66 pazienti terminali presi in carico per l’assistenza domiciliare per mille abitanti nella Provincia Autonoma di Trento e i 3,21 in Veneto, agli 0,2 per mille nel Lazio, e 0,3 in Campania e Sardegna. In generale sono otto le regioni che non superano una presa in carico per mille abitanti.

Inoltre, anche in regime di assistenza domiciliare diversi bisogni assistenziali non sono garantiti in maniera omogenea. La terapia del dolore è praticata nel 43% dei casi, le infusioni intra muscolo in un caso su tre, l’alimentazione assistita nel 14% dei casi, l’alimentazione parenterale nel 7% delle prese in carico e l’ECG nel 4% dei casi.

Il livello di rispetto delle norme sul fine vita della legge 38 è misurato dal Rapporto attraverso alcuni indicatori di monitoraggio, che hanno registrato per il 2013 piene adempienze per 9 regioni (Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia e Veneto), adempienze “con impegno” in cinque regioni (Abruzzo, Campania, Sicilia, Toscana e Umbria) ed inadempienze nelle restanti due regioni (Lazio e Molise).

Infine, da qualche anno si è costituito anche l’Osservatorio sulle buone pratiche in Cure Palliative, che sotto l’egida di Agenas ha effettuato una rilevazione nel 2013 ed una nel 2014 sul rispetto dei criteri minimi di carattere normativo, ed i dati di attività delle Unità di Cure Palliative (UCP). Sono stati valutate 118 UCP e 185 équipe. Nel 2014 risultava che 95 UCP rispondevano ai criteri minimi e 23 non erano invece idonei. Il 90% delle UCP censite collaborava con gli ospedali di riferimento e con gli hospice, il 76% garantiva la presa in carico anche di malati con età inferiore ai 18 anni, nel 76% dei casi si svolgevano riunioni settimanali per la pianificazione e condivisione degli interventi, in oltre il 70% dei casi era previsto un colloquio con i familiari prima della presa in carico del paziente, in oltre il 90% dei casi veniva assicurata la fornitura di farmaci, e molto spesso si verificava la collaborazione con il volontariato e/o con la rete dei servizi sociali. Quasi tutte le UCP analizzate effettuano una registrazione dei dati, quantitativi e qualitativi, e nella maggior parte dei casi venivano adottate modalità specifiche per il malato pediatrico in termini di relazione con la famiglia e con il paziente stesso.

Insomma, siamo lontani dal garantire a tutti i malati terminali i diritti che hanno sulla carta.

Segui Cristina Da Rold su Twitter

Leggi anche: Cure palliative: la legge c’è da anni, ma le regioni sono in ritardo

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.